Covid-19: le priorità nella somministrazione dei vaccini

di Franco Piunti

Ho fatto fatica in questi giorni ad aggiornarmi; le conoscenze sul virus e poi sul vaccino si sono accavallate velocemente e probabilmente si concluderanno fra qualche anno.

Faccio riferimento alla mia memoria.

I vaccini producono anticorpi specifici nel sangue: questi anticorpi non sono presenti nella mucosa orale; per cui un soggetto vaccinato può continuare ad avere il virus sulle mucose del tratto orofaringeo senza ammalarsi.

La capacità infettante e la sua durata dipendono dalla quantità di IgA presenti nella mucosa, più numerose esse sono, minore sarà la capacità infettante e circoscritta nel tempo; se la mucosa è invasa da un virus, le IgA  non sono in grado bloccare la replicazione di un altro virus.

La virulenza aumenta con il numero di passaggi da individuo ad individuo.

Per questi motivi si è concordato che una vaccinazione soprattutto per i virus a trasmissione aerea è efficace se raggiunge il 95% della popolazione, altri esperti dicono l’80%.

In questi casi il virus perde di virulenza ed è meno infettante.

Quindi la vaccinazione protegge il singolo individuo che la fa, ma non protegge gli altri; la protezione della popolazione avviene solo con una vaccinazione di massa.

Da indagini fatte sembra che il 40-50%, degli italiani siano contrari o perplessi nei confronti della vaccinazione; renderla obbligatoria per tutti produrrebbe una reazione di difesa che impedirebbe il raggiungimento dell’obbiettivo.

Una buona informazione e narrazione rese da testimoni che la fanno, può aiutare i perplessi;

La obbligatorietà è già prevista dalla normativa vigente negli ambienti di lavoro e potrebbe essere già utilizzata per tutti i lavoratori ad iniziare dalle strutture sanitarie, assistenziali  e scolastiche.

La stessa cosa può essere prevista per le occasioni di affollamento quali i viaggi aerei, concerti ecc.

L’idea di un passaporto vaccinale e l’utilizzo dell’applicazione  “Immuni” potrebbero essere utili.

Il successo delle mascherine ( oggi più del 95% della popolazione italiana porta le mascherine)  è stato il frutto sia di informazioni sia di normative che ne prevedevano l’obbligatorietà in determinati contesti; insieme hanno prodotto emulazioni di gregge. Si è passati dalla vergogna di portare le mascherine a portarle per difendersi, sino a indossarle per difendere gli altri.

La non obbligatorietà universale potrebbe essere l’occasione per stimolare ulteriormente riflessioni e ragionamenti sul ruolo delle relazioni nella produzione di malattie e quindi a indurre a comportamenti coerenti con un io collettivo.

Da anni nei Dipartimenti di Prevenzione si discute quale sia il metodo migliore per garantire la protezione della collettività: l’obbligatorietà o il convincimento e cioè l’etica deontologica ex ante o quella Kantiana dei diritti individuale.

Quella obbligatoria si è dimostrata, per il controllo delle malattie infettive, sicuramente la più efficace, mettendo però in crisi il principio kantiano dell’uomo che non deve essere considerato come mezzo ma come fine, che invece costituisce una delle basi della qualità della vita e quindi della prevenzione di molte altre malattie.

Ma l’etica Kantiana non basta da sola; i no-vax purtroppo utilizzano l’etica Kantiana per contrastare gli interessi della collettività.

Per questo è importante la crescita dell’etica della responsabilità per far crescere la cultura dell’io collettivo. Tale crescita ha bisogno di un ambiente democratico che sappia utilizzare il metodo scientifico e quindi di tempi lunghi, ma nel contempo permette l’accettazione volontaria di leggi più restrittive e quindi  una maggiore possibilità di raggiungere gli obiettivi in maniera più durevole ( anche per le future generazioni).

Detto questo, quale criterio utilizzare per scegliere chi vaccinare per primi, in attesa di raggiungere il 95% della popolazione?

Sicuramente non quello caso per caso ma quello dei criteri generali che si basano sulla necessità di garantire alla collettività il maggior numero di anni vissuti.

Sicuramente il personale sanitario in quanto la sua riduzione determinerebbe un aumento della mortalità in tutte le classi di età, ma anche i decisori sono indispensabili per supportare sia dal punto di vista legislativo ed economico la realizzazione dei criteri generali soprattutto in termini di equità.

Poiché la pandemia sta determinando, ora, prevalentemente la morte degli 80enni con pluripatologie – per cui gli anni di vita persi direttamente o indirettamente dalla comunità sono superiori a quelli persi dalla mortalità di altre classi di età – è giusto che le vaccinazioni vengano somministrate per prima a loro.

Per valutare gli anni di vita persi dalla collettività occorre sommare sia quelli persi direttamente dagli 80enni con quelli persi indirettamente dalle altre classi di età sia per l’eventuale occupazione dei posti letto sia per la riduzione dei piani diagnostici e terapeutici per le altre patologie.

Le altre classi di età possono essere protette dalla velocità con cui si svilupperà la vaccinazione in tutta la popolazione.

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