Nello scorso mese di dicembre il Ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio hanno reso noti i criteri di priorità per la somministrazione in Italia del vaccino contro SARS-CoV-2. Questi criteri si basano sul presupposto che, allo stato delle conoscenze, i primi due vaccini disponibili e approvati da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (quello prodotto da Pfizer e quello prodotto da Moderna) prevengono in chi è vaccinato la malattia da SARS-CoV-2, mentre non è dimostrato che impediscano la trasmissione del virus. Da queste evidenze scientifiche (e da questa mancanza di altre evidenze) è derivata l’indicazione di vaccinare in via prioritaria il personale sanitario e sociosanitario (perché se questi soggetti si ammalassero non potrebbero curare il resto della popolazione) e gli anziani residenti nelle RSA (perché essi sono particolarmente vulnerabili alle complicazioni della malattia). Dopo questa prima fase, si prevede di procedere con la vaccinazione di tutti gli altri anziani, iniziando da chi ha più di ottant’anni e, a seguire, di altre fasce di popolazione[i].
Il documento precisa anche che, se giungeranno nuovi dati concernenti i vaccini già approvati (oppure riguardanti i nuovi vaccini in valutazione) che dimostreranno la loro efficacia non solo sulla prevenzione della malattia, ma anche sulla riduzione della diffusione del contagio, questa scala di prioritizzazione potrebbe cambiare.
In molti Paesi del mondo sono stati adottati criteri analoghi a quelli descritti, per scegliere i soggetti che per primi devono accedere al vaccino. Negli Stati Uniti, ad esempio, i criteri stabiliti dallo Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) sono sostanzialmente gli stessi che in Italia, basandosi, negli US, sui principi di massimizzare i benefici e ridurre al minimo i danni, di promuovere la giustizia e di mitigare le diseguaglianze nell’accesso alla sanità.
A fronte di questa pianificazione ragionevole e largamente condivisa, è arrivata, un paio di settimane fa, la proposta di Alan Levine, amministratore delegato di un grande sistema sanitario pubblico americano, la Ballad Health. Il progetto, pragmatico e circostanziato[ii], fa riferimento alla realtà statunitense, ma solleva quesiti etici che travalicano i confini geografici.
In estrema sintesi, Levine propone di permettere ai super-ricchi di ‘saltare la fila’ e di accedere subito al vaccino, in cambio di denaro (100 milioni di dollari a testa, nella prima fase, per i primi cento acquirenti, poi procedendo a scalare, con sconti progressivi, sino ad offrire la vaccinazione per 25.000 dollari ai ricchi “più poveri”). Il programma è disegnato per fare in modo che il ritardo accusato da ogni altro cittadino non pagante per accedere alla vaccinazione non superi le 24 ore. La vaccinazione dello 0.17% della popolazione americana, eseguita in via prioritaria tramite una sorta di Fast Pass, fornirebbe un ricavo di 50 miliardi di dollari, più o meno la cifra necessaria per vaccinare tutti i cittadini americani, senza così gravare sulla tassazione pubblica. Inoltre, Levine ritiene che il valore esemplare della vaccinazione dei super-ricchi potrebbe convincere i perplessi della bontà del vaccino, permettendo di raggiungere il 75% di compliance nella popolazione americana e di ottenere così l’immunità di gregge.
Che cosa non va in questa proposta? Secondo Hurst e Arbo[iii], in questo caso bisogna rispondere alla classica domanda se i fini – cioè i soldi per l’infrastruttura – giustifichino i mezzi – cioè l’offerta della vaccinazione in via prioritaria a chi può pagare un prezzo elevatissimo per saltare la fila.
La loro risposta è no e gli argomenti con i quali essi rifiutano il progetto di Levine sono consultabili nell’articolo citato per una loro piena valutazione. In sintesi, i due Autori ritengono che: a) Mezzo milione di persone che dovrebbero ricevere il vaccino il prima possibile dovranno aspettare che siano prima vaccinati i ricchi; b) Tutti gli esseri umani possiedono eguale dignità. I principi di prioritizzazione dovrebbero essere basati sul rispetto della dignità umana, mentre la proposta di Levine viola il principio fondamentale di giustizia perché dà più valore ai costi di sovvenzionamento di un programma nazionale di vaccinazione, rispetto all’urgenza di vaccinare i lavoratori in prima linea e le persone vulnerabili; c) Le vaccinazioni Fast Pass avrebbero l’effetto di aggravare le già pesanti disuguaglianze sociali, in conflitto con i criteri stabiliti dalla ACIP.
Penso che, per me, confutare i primi due argomenti che sono alla base del rifiuto della proposta Fast Pass sia un compito abbastanza impegnativo e spero che qualcun altro possa farsene carico. Credo, invece, che la terza giustificazione che è stata addotta da Hurst e Arbo sia debole. Infatti, la realizzazione del progetto di Levine condurrebbe a una reale – ancorché piccola – ridistribuzione della ricchezza, non conseguente alla semplice beneficienza da parte dei più abbienti, ma al loro desiderio di assicurarsi una risorsa scarsa a un prezzo molto alto, stabilito dalla comunità.
[i] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2986_allegato.pdf
[ii] https://www.statnews.com/2020/12/22/let-the-ultra-rich-and-influential-skip-the-line-for-covid-19-vaccines-hear-me-out/
[iii] http://www.bioethics.net/2021/01/the-disney-fast-pass-of-covid-19-vaccines-the-ethics-of-paying-to-jump-the-line/
Un pensiero riguardo “Vaccino Covid-19: si può saltare la fila?”