La pratica medica
Nella storia umana si è da lungo tempo avvalorata la tradizione di affidarsi a esperti per poter controllare il dolore e intervenire a eliminarne le cause.
Naturale che chi si rivolge ai guaritori e poi, progressivamente, alla figura del medico, accordi il suo consenso affinché l’interpellato eserciti la sua funzione di esperto e si prodighi, con tutte le sue conoscenze, a conseguire il risultato di modificazione dello stato di sofferenza. Ma via via che il progresso scientifico ha messo a punto strumenti sempre più sofisticati per indagare le cause e le manifestazioni dei fenomeni morbosi, non è più sufficiente affidarsi, è necessario conoscere le conseguenze, le difficoltà dell’applicazione di una terapia piuttosto che di un’altra, prendere in considerazione opzioni differenti.
CASO “Conflitto tra disagio dell’individuo, opportunità offerte dalla medicina e rappresentazione di sé a livello sociale”
Giorgio è un giovane uomo di trentacinque anni, ha sviluppato da qualche tempo una patologia all’arcata dentale superiore, una parodontite non giustificata da nessun comportamento igienico scorretto, né da traumi, né dall’uso di sostanze stupefacenti: il risultato è stato la caduta progressiva di cinque denti, a partire dai molari fino a raggiungere uno dei due canini. Alle prime avvisaglie di questo processo, consultato il suo dentista, a Giorgio viene proposto in prima battuta un ponte che si incastri tra il molare rimasto e il canino, non saldissimo, ma, a detta del dentista, abbastanza stabile da consentire di sostenere il ponte; Giorgio firma il proprio consenso all’intervento. L’uomo è sollevato perché non ne verrebbe compromesso in alcun modo l’aspetto estetico, ma, forse a causa di un periodo di stress prolungato, il molare e il canino cedono e in breve tempo Giorgio si trova nell’impossibilità di mantenere la soluzione concordata con il medico.
A questo punto si presentano due opzioni: un intervento di implantologia dentale, che ripristini tutti i denti caduti con dei costi piuttosto elevati e qualche rischio di mancata tenuta dell’impianto; oppure un ponte mobile che faccia leva su un dente dell’altra semiarcata, con costi molto contenuti, ma con necessità di far fronte a un fantasma che, data la giovane età dell’uomo, si presenta come particolarmente minaccioso, quello della “dentiera”, normalmente associata a persone ben più anziane. Purtroppo Giorgio non può concedersi l’intervento di implantologia ed è costretto a optare per quello del ponte mobile; il grave imbarazzo iniziale viene poi superato con la constatazione che nessuno lo vede nelle ore notturne, quando il ponte viene rimosso per le pratiche igieniche ordinarie. Il consenso è avvenuto in modo libero; apparentemente, le caratteristiche di entrambi gli interventi e le conseguenze sono state ben illustrate dal medico e ponderate dal paziente.
Nel frattempo Giorgio conosce una ragazza, con la quale intreccia una storia via via sempre più intima e intensa; l’uomo vorrebbe passare qualche momento di vacanza con lei, ma lo spettro della notte e della sua “menomazione” lo getta nello sconforto. Decide che chiederà un finanziamento e risolverà il suo problema: si rivolge al suo dentista e gli comunica che ha deciso per l’intervento di implantologia. Il medico gli prescrive una panoramica dentale, da cui purtroppo si evince che l’osso dell’arcata superiore si è ritirato in maniera molto consistente, il che non permetterebbe di effettuare l’intervento con qualche probabilità di successo. Vista la costernazione di Giorgio, il dentista gli consiglia di rivolgersi a un suo collega, esperto implantologo, per avere un altro parere; ma il responso è identico: certo ci si potrebbe rivolgere a quei centri che promettono miracoli, ma il medico è molto scettico, anche se sottolinea che la decisione è del paziente, suo il rischio, sua la scelta definitiva.
Allora che fare? Ci sono a livello specialistico due opzioni, con esiti non garantiti: un intervento di chirurgia maxillofacciale, che prelevi porzioni di osso mascellare da trapiantare nell’arcata che si è ritirata, intervento molto invasivo che potrebbe lasciare conseguenze nella funzionalità della mascella; oppure un trapianto di osso sintetico, più sicuro per il paziente, ma che potrebbe provocare problemi di rigetto. Giorgio ha ricevuto dunque tutte le informazioni dettagliate, ha in mano tutti gli elementi per decidere, ma è conscio del fatto che non è sufficiente sapere per garantire un risultato soddisfacente, le variabili sono tali e tante che l’esito potrebbe riservare delle sorprese.
La natura problematica di questo caso permette di enucleare diversi dilemmi etici:
– Il primo intervento proposto dal dentista, che Giorgio ha accettato di buon grado, più che altro per il rapporto di fiducia che lo legava a quel medico, non si è rivelato inopportuno, alla luce dello svolgersi dei fatti?
– Nonostante la competenza dimostrata dai medici, è corretto lasciare il paziente in uno stato di incertezza, privilegiando la sua facoltà di decidere autonomamente?
– Di fronte al conflitto tra vita privata, accettabilità sociale e competenza medica, è giusto che l’aspetto dirimente sembri essere l’alto costo degli interventi?
– È giusto che Giorgio, in prima persona, si faccia interprete dei pregiudizi che accompagnano spesso l’accettazione da parte degli altri (essere giovani e perfettamente sani sembra essere ancora oggi un elemento basilare nel decidere se intrecciare o meno rapporti affettivamente solidi)?
Nell’analisi del caso specifico è necessario soffermarsi su alcune questioni:
- Uno dei principi base della bioetica è il principio del rispetto: nel caso esaminato esiste una prevaricazione di questo principio? In quali forme si è manifestato?
- Altro principio base è quello della beneficenza: in mancanza di competenze specifiche da parte dell’interessato, chi e con quali modalità può farsi interprete della beneficenza nei confronti del soggetto?
- Il principio della non maleficenza è stato rispettato in questo caso?
- Nel conflitto tra interesse del singolo e delle persone coinvolte in rapporti con il soggetto, come si può effettuare un bilanciamento che salvaguardi l’autonomia di scelta ma anche l’immagine sociale che l’individuo auspica di poter mantenere?
- Il paziente in questione è stato adeguatamente informato per poter decidere con serenità, o la situazione è precipitata al punto da non consentire una disamina attenta?
Caso interessante, che solleva molte domande. Per quanto riguarda la domanda se è corretto lasciare il paziente in uno stato di incertezza, la penso così: il medico è “un esperto”, che ha per ora – anche se non so fino a quando – maggiori capacità di “un sistema esperto” di guidare il singolo paziente nelle scelte che lo riguardano, applicando al caso quanto deriva dalle conoscenze scientifiche. Quindi, secondo me, il medico non deve limitarsi a fare un elenco delle alternative di cura disponibili, ma anche comunicare al paziente quello che ritiene essere per il paziente il trattamento migliore. Naturalmente, il paziente è poi libero di accettare o meno quanto suggerito dal medico.
Vi sono però casi in cui ci si trova in una situazione di “equipoise”, cioè di indifferenza fra le alternative perché non c’è a priori una scelta migliore di un’altra (un odontoiatra potrebbe dire se il caso di Giorgio è uno di questi). In queste circostanze, il paziente, sempre debitamente informato, non potrà essere consigliato dal medico su quale è la scelta migliore per se stesso.