Il consenso è (del paziente) informato

– di Francesco Leone –

È impressionante come nell’era di internet, dell’informazione globale e delle firme digitali un foglio di carta stampata possa creare imbarazzo, generare equivoci ed essere fonte di dispute in ambito civile e penale.

Persone di ogni grado di istruzione possono inciampare nel tranello semantico di un concetto ultracentenario come quello del consenso. É possibile che sia l’origine anglofona del “informed consent” e della traduzione in italiano in consenso informato che implichi un certo grado di confusione.

Nel 1914 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha infatti stabilito che “ogni essere umano adulto e sano di mente ha diritto di decidere ciò che sarà fatto sul suo corpo, e un chirurgo che effettua un intervento senza il consenso del suo paziente commette un’aggressione per la quale è perseguibile per danni”.

Il concetto si è ulteriormente evoluto con il Codice di Norimberga (1946-1947) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) che sancirono l’assoluta volontarietà dei soggetti nel sottoporsi a trattamenti dall’esito incerto. In questo modo si ritenne di dover riabilitare l’utilizzo del termine sperimentazione usata per definire le torture operate dai nazisti sugli ebrei nei campi di concentramento.

La Costituzione italiana (1948) con l’art. 32 stabilì il principio di libertà decisionale di ogni soggetto affermando che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Ancora oggi mi capita, nell’offrire un consenso informato da firmare, di sentire affermazioni quali: “così scaricate su di noi la responsabilità” oppure “se lo firmo non posso chiedere risarcimenti in caso di danni”. Ciò che dovrebbe sancire un’alleanza tra il medico ed il paziente rischia così di diventare uno strumento divisivo.

In materia di responsabilità professionale medica il legislatore è intervenuto in epoca recente con la Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) per cercare di ottenere un equilibrio tra l’accrescersi del contenzioso medico-legale, con conseguente aggravio assicurativo per operatori e strutture sanitarie, ed il fenomeno della medicina difensiva. Questa Legge, che peraltro non accenna al consenso informato quale strumento di governo della relazione medico-paziente, precisa le circostanze in cui il medico e/o la struttura sanitaria sono tenute al risarcimento del danno arrecato al paziente nell’esercizio della professione sanitaria, ma lascia in essere alcune zone grigie, in parte anche favorite dal loop argomentativo. Com’è possibile che (articolo 6) “Qualora l’evento  si  sia  verificato  a  causa  di  imperizia,  la punibilità è esclusa  quando  sono  rispettate  le  raccomandazioni previste dalle linee guida”? Come si fa a rispettare le raccomandazioni e contemporaneamente non rispettare regole tecniche per incapacità o inettitudine (definizione di imperizia)? O forse non si è colpevoli se si segue alla lettera  il manuale delle istruzioni pur non essendo qualificati a compiere un determinato atto medico?

Ma finalmente abbiamo anche una legge esplicitamente dedicata al consenso informato, la Legge 219 del 22 Dicembre 2017, che considero un capolavoro, che  afferma (articolo 1): “nel consenso  informato si incontrano l’autonomia decisionale  del  paziente  e  la competenza, l’autonomia  professionale e la responsabilità del medico”. Ed il senso dell’alleanza tra il medico ed il paziente che culmina e viene suggellata dalla firma del consenso informato è espresso nell’importanza che viene data alla comunicazione “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” (comma 8) e  “La formazione iniziale e continua  dei  medici  e  degli  altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione  con  il  paziente” (comma 10).

Cosa rispondiamo quindi alle critiche ed ai dubbi sulla necessità ed il significato di una firma in calce ad un documento che nella migliore delle ipotesi contiene informazioni che il paziente è in grado di reperire autonomamente una volta che gli saranno forniti i dettagli del trattamento che gli proponiamo, e, nella peggiore, gli sarà poco chiaro poiché punteggiato di termini dei quali non conosce il significato?

Rispondiamo che l’acquisizione del consenso è un atto medico in sé che si compie perché non basta che io sappia qual è il bene per lui. Occorre che che lui dichiari esplicitamente che si fida di me, che alle sue domande sia stata data risposta e che ha compreso che, in caso di dubbi, mi troverà sempre disponibile a fornire ulteriori chiarimenti. La sua libertà nei confronti del consenso che ha sottoscritto non è minimamente intaccata dato che, in qualsiasi momento e senza necessità di spiegazioni, potrà revocare la propria decisione.

Per chi sta da questa parte deve essere chiaro che la lesione alla libertà di determinazione del paziente, cagionata dalla mancata acquisizione del consenso, anche quando il trattamento abbia avuto successo, è comunque condizione idonea a determinare un danno risarcibile. 

2 pensieri riguardo “Il consenso è (del paziente) informato

  1. Francesco, nel tuo intervento ci hai spiegato efficacemente che il consenso informato non consiste solo nell’apporre la firma a un modulo prestampato. La firma, infatti, è solo il suggello di una relazione che si è costituita e che ha rappresentato un atto medico.
    Voi oncologi, perlomeno in Italia, siete stati fra i primi a comunicare con il paziente in modo esplicito e trasparente, anche quando altri colleghi erano molto critici nei confronti della vostra franchezza.
    Rispetto a venti o a trenta anni fa, molto è cambiato, ma in alcuni contesti il ‘consenso’ è ancora oggi soltanto ‘un foglio di carta stampata’. Dopo la promulgazione della legge 219/2017 – come dici – questo non dovrebbe essere più ammesso.

  2. Ritengo che l’intervento sia importante, soprattutto perchè riguarda un atto che quotidianamente, in tutti gli ambiti sanitari, viene per la gran parte dei casi evaso in forma di farsa; ma lo si fa lo stesso, perchè si deve.
    Spiegare il rapporto rischio/efficacia di una colangiografia retrograda al paziente medio, perchè abbia chiari i termini che usiamo, non può essere cosa che sia ben fatta in meno di trenta minuti; nella migliore delle ipotesi gli faremo un riassunto, sorvolando su molto di quello che sarebbe lungo da spiegare, durante il quale il paziente starà soprattutto attento alla nostra espressione facciale, agli aggettivi che useremo, e da questo dedurrà quanto siamo convinti che la manovra sia per lui veramente opportuna. Però firmerà un modulo che dà per conosciuta l’anatomia topografica della regione duodeno-cefalopancreatica.
    Credo che la sostanza di un ‘consenso informato’ non utopistico stia nella frase di Francesco ‘’Occorre che che lui dichiari esplicitamente che si fida di me, che alle sue domande sia stata data risposta e che ha compreso che, in caso di dubbi, mi troverà sempre disponibile a fornire ulteriori chiarimenti. La sua libertà nei confronti del consenso che ha sottoscritto non è minimamente intaccata dato che, in qualsiasi momento e senza necessità di spiegazioni, potrà revocare la propria decisione.’’
    Vi sono tutti gli elementi necessari per siglare l’accordo medico-paziente sulla scelta diagnostico terapeutica: il medico ha fornito ed il paziente ha recepito tutte le informazioni che le due parti reputavano utili e necessarie per arrivare ad una decisione consapevole, ed il paziente ha fiducia che la proposta del medico sia opportuna per la sua salute.
    Tutto quanto di aggiuntivo è scritto sul foglio che i due attori dovranno firmare risulta inutile o persino confondente; non credo che più del 5% di noi ‘laureati’ abbia ben compreso tutto quanto scritto e da noi firmato su qualsiasi contratto di linea telefonica o di assicurazione auto.
    Il modulo per raccogliere le firme del consenso informato potrebbe essere concentrato in :
    • Dichiaro che mi è stata proposta questa indagine/ questa terapia, che il medico ha fornito risposte esaustive alle mie richieste di spiegazione, ed accetto (il paziente)
    • Ritengo che il sig xx abbia compreso le motivazioni e le modalità dell’indagine e terapia proposta (il medico)
    Credo che se questo modulo ‘standard’ fosse abitualmente adottato, sia i medici che i pazienti arriverebbero meglio preparati e motivati all’incontro che conduce alla sottoscrizione di tale consenso

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