Il SSN come elemento di crisi dell’alleanza tra Operatori sanitari e Pazienti

– di Carlo Mantovani –

Storicamente esiste un conflitto tra attività lavorativa e salute dei lavoratori.
L’individuazione dei fattori di rischio per la salute e la riduzione dei livelli di esposizione sono stati gli strumenti individuati ed utilizzati per la tutela dei lavoratori.

Idealmente sin dalla metà dello scorso secolo si viene affermata la assoluta prevalenza del valore “salute del lavoratore” sul valore “tutela della produzione”.
Nella realtà vengono posti come obiettivi la protezione di ”quasi tutti” i lavoratori sani e la riduzione del rischio al livello “più basso ragionevolmente possibile”. Vengono in sostanza ritenuti accettabili e ragionevoli livelli di esposizione apparentemente derivati da scelte tecniche neutrali ma che viceversa mettono in conto non solo limiti tecnologici ma anche vincoli economici.

L’ingresso della prevenzione occupazionale in ambiente sanitario assistenziale ha richiesto un cambiamento di paradigma. In questo contesto infatti il paziente costituisce il principale fattore di rischio, direttamente o indirettamente mediante gli strumenti tecnici, organizzativi, diagnostici e farmacologici utilizzati per cura e assistenza.

Non è evidentemente possibile, al fine di ridurre il rischio occupazionale, anteporre la salute dell’operatore a quella del paziente. Divengono inoltre inapplicabili in questo contesto molte delle tecniche di riduzione del rischio utilizzabili in ambiente industriale: il paziente non può essere sostituito con un altro meno “nocivo”,  remotizzato o incapsulato.

Si è reso quindi necessario ricostruire una strategia di prevenzione mirata a tutelare contemporaneamente la salute dell’operatore e del paziente. Strategia avviata non senza resistenze ma che ha portato frutti importanti. Sono prodotti dai questa visione: la modifica delle tecniche di anestesia, il miglioramento della mobilizzazione del paziente, la riduzione delle manifestazioni allergiche al lattice. Permangono tuttavia aree di conflitto quali, ad esempio, il lavoro a turni, lo stress lavoro correlato, le radiazioni ionizzanti, i farmaci antiblastici, il rischio infettivo.

Assolutamente rilevante sarebbe, per controllare questi rischi e minimizzarne gli effetti, la disponibilità di risorse professionali, organizzative, strutturali, strumentali; risorse che la politica sanitaria ha pesantemente ridotto nel corso degli anni ponendo come obiettivo del sistema la compatibilità economica perseguita essenzialmente con tagli lineari e comunicata (come più avanti verrà evidenziato) con gran dispiego di ipocrisia.

Ne sono derivati non solo una riduzione dei livelli di tutela della salute sia per gli operatori che per i pazienti ma anche un terreno favorevole alla rinascita, tra gli operatori sanitari, della sensazione che il paziente e la struttura che lo gestisce costituiscano un rischio per la propria salute. Si ripropone, in maniera prepotente, il problema del rischio” ragionevole” laddove ciò che si pretende essere ragionevole da parte di chi gestisce il sistema non è vissuto (con buon fondamento) come ragionevole da chi vi opera.

Un aspetto psicologicamente importante è costituito delle modalità di comunicazione. I messaggi trasmessi dai Gestori agli utenti utilizzano abitualmente termini come “rimodulazione”. “razionalizzazione “, “riqualificazione”, “efficientamento”, termini in sé del tutto apprezzabili ma che diventano ipocrisia se utilizzati come sostituti di “tagli” e “riduzione delle prestazioni”. Gli operatori sanitari si sono trovati nelle condizioni di dimostrare praticamente ai pazienti il reale significato dei termini di cui sopra. Ne è risultato un innalzamento del livello del conflitto tra salute dell’operatore e salute del paziente che è esondato dal livello della semplice carenza di risorse materiali a quello del conflitto tra esigenze di autotutela contrapposte e strutturalmente incompatibili.

Un aspetto peculiare del conflitto, oggi agli “onori” della cronaca, è costituito dalla non universale accettazione della vaccinazione degli operatori sanitari. Va premesso che il discorso circa la vaccinazione degli operatori sanitari presenta peculiarità rispetto a quello inerente la vaccinazione della popolazione generale per le sue implicazioni in ambito della tutela della salute vuoi sul versante occupazionale vuoi su quello assistenziale. Va altresì premesso che, in linea di principio, la vaccinazione offre all’operatore sanitario una potenziale [1] opportunità di tutela della propria salute, di quella dei propri familiari, di quella dei colleghi di lavoro (aspetto trascurato), di quella dei pazienti.

Tuttavia il dibattito mediatico, ma purtroppo anche quello istituzionale, girano intorno ai temi della possibile obbligatorietà, delle sanzioni ai non ottemperanti, dell’etica professionale. Il messaggio implicito è che la vaccinazione possa avere conseguenze negative sulla salute dell’operatore, salute che potrebbe quindi essere in qualche misura messa a rischio per eticamente tutelare quella del paziente. Per le più sopra richiamate condizioni di contesto il seme del conflitto viene gettato su un terreno fertile.

Un ulteriore aspetto che credo meriti una valutazione è quello del ruolo della vaccinazione nell’ambito delle strategie (che per il Datore di Lavoro sono un obbligo legale ed etico) per la tutela della salute dei lavoratori.  Le buone pratiche di prevenzione richiedono che l’agente infettante sia tenuto il più lontano possibile dal lavoratore. La vaccinazione attesta le difese all’interno delle vie aeree ed oppone una resistenza soggetta alla variabilità biologica e non certificabile. In questo senso la vaccinazione deve essere aggiuntiva e non sostitutiva delle necessarie misure di prevenzione e protezione.

Per quanto sopra accennato già in epoca prepandemica la tutela della salute dell’operatore e del paziente presentava aspetti critici. La pandemia ha comportato, tra gli operatori sanitari, un elevato numero di vittime dell’insufficienza degli strumenti di prevenzione e protezione. Si verificano quindi le condizioni per indurre il sospetto che l’obbligo vaccinale venga imposto come rimedio a obblighi di protezione non adempiuti in passato e che non verranno adempiuti in futuro.

In questo contesto mi appare riduttivo focalizzare il discorso etico sulla vaccinazione o meno dell’operatore.
Il tema del conflitto tra salute dell’operatore sanitario e salute del paziente rappresenta oggi, a mio parere, solo un’area interna al campo del conflitto tra struttura sanitaria e salute dell’operatore e del paziente e, forse, essenzialmente il sintomo di una patologia sistemica.


[1] Potenziale perché non è chiaro quanto duri l’efficacia della protezione nel singolo e non parrebbe escluso che il soggetto vaccinato possa non ammalarsi ma essere portatore

Un pensiero riguardo “Il SSN come elemento di crisi dell’alleanza tra Operatori sanitari e Pazienti

  1. Carlo, nel tuo post hai affermato il paziente costituisce il principale fattore di rischio per l’operatore sanitario e che, in seguito a un ridotto finanziamento del SSN, si assiste ora a un innalzamento del livello del conflitto tra salute dell’operatore e salute del paziente. La vicenda Covid rende tutto ciò facilmente percepibile.
    Ti chiedo se ti sembra che questo conflitto sia ineliminabile, oppure se pensi che sia tendenzialmente azzerabile con opportuni investimenti.
    In alcuni esempi che porti, come la movimentazione dei pazienti, la tossicità dei chemioterapici e degli anestetici, il rischio radiologico, l’allergia al lattice, a me sembra che non vi sia un conflitto genuino fra salute dell’operatore sanitario e salute del paziente (se non per carenze nel sistema di lavoro). Diverso è il caso del rischio infettivo: che prospettive vedi in questo campo?

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