Verso la vaccinazione anti CoV19: corsa e ostacoli

– di Giuseppe Zaccala –

Spinto e frenato da motivazioni più spesso riguardanti un’etica individuale/istica piuttosto che condivisa e pubblica, il moto degli Italiani verso il vaccino risulta senz’altro del tipo che un fisico che si occupa di dinamica dei fluidi definirebbe ‘turbolento’.

La caratteristica fondamentale dei moti turbolenti è quella di assorbire una notevole quantità di energia rispetto al risultato della velocità di flusso.

Un moto di tipo ‘laminare’, con scorrere ordinato dei diversi strati di velocità, sempre paralleli e con minima interferenza, con il quale si ottiene la migliore efficienza del flusso globale del sistema, è certamente un’utopia, almeno per quanto riguarda la campagna vaccinale.

A questo tipo di flusso dovremmo però cercare di tendere, non ostante l’abitualmente disordinato movimento della nostra società globale, ulteriormente agitato dalla fase pandemica; le attualmente accentuate turbolenze della sua corsa verso l’appropriazione di salute sono interconnesse con la abituale competizione, senza esclusione di colpi, per il potere economico e politico.

Chi è in grado di imporre ordine, incanalare i flussi e migliorare l’efficienza di questo sistema, che ha risorse limitate (quantità di dosi di vaccino disponibili, strutture e persone vaccinatrici) e vuole ottenere il maggiore e più rapido risultato possibile?

Una dittatura politico-sanitaria che imponesse senza possibilità di discussione i criteri di precedenza e le modalità di vaccinazione per tutta la nazione avrebbe senza dubbio il risultato di miglior efficienza in termini di rapporto tra risorse impiegate e velocità di raggiungimento della quota vaccinale stabilita.  

Ma il cammino del nostro governo sanitario, non dittatoriale ma ‘democratico’, quotidianamente bersagliato da critiche da parte di una folla di scienziati, esperti, opinionisti, megadirettori, frequentatori di bar, è stato e sarà forzatamente costellato di intoppi e variazioni di direzione, alcuni di carattere sostanziale ed altri solo formale, con inevitabili sprechi di risorse.

Non è facile dimostrare la assoluta validità delle precedenze attualmente proposte, quando esaminati i casi individuali; perché ad esempio risulta prioritario vaccinare un anziano ospite di RSA, autoisolato perché semiallettato e con importante decadimento cognitivo, rispetto ad un quarantenne sano, commesso di negozio di ferramenta o esercente di un bar, il cui lavoro comprende un importante numero quotidiano  di contatti  a rischio di contrarre e di trasmettere l’infezione?

Eppure, come mettere ordine per raggiungere una valutazione dell’appropriatezza dei criteri che sia il più possibile ‘oggettiva’ o quanto meno condivisa, volendo arrivare ad un calendario vaccinale individualizzato ed ‘equo’?

Supponiamo di essere in grado di calcolare con buona approssimazione gli anni di vita salvata, ovvio minimo comun denominatore nelle equazioni di farmacoeconomia; di essere poi in grado di rapportarli ad un coefficiente che esprima la qualità di vita, anch’esso parametro importante in molte decisioni terapeutiche, seppur di difficile valutazione, ad esempio in persone che per la loro situazione non sono in grado di comunicarci la propria qualità attuale percepita.

Superato questo ostacolo, calcolati gli anni di vita salvata, pesati per la QOL, dovrebbe ‘bastare’ il punteggio ricavato da una formula che comprenda anche:

  • probabilità dell’individuo di contrarre l’infezione
  • probabilità dell’individuo di propagare l’infezione
  • probabilità di letalità per covid (per età e per comorbidità)
  • probabilità di importante perdita di quantità e qualità di vita in relazione ad esiti dell’infezione
  • utilità sociale dell’individuo (es. care giver di familiare non autosufficiente, lavoratore/trice con figli a carico)

 Un  ‘fascicolo sanitario’ con anagrafica ben aggiornata potrebbe fornire tale punteggio in maniera quasi automatica, una volta messo a punto l’algoritmo; purtroppo non disponiamo di questo, e la frettolosa anamnesi raccolta in occasione della prima vaccinazione  probabilmente rimarrà fine a se stessa e non andrà ad aggiungere dati  utili  a stabilire le precedenze della seconda tornata di vaccinazioni prevista tra un anno circa; la  classificazione di tutta la popolazione  mediante calcolo di uno score individuale non è quindi praticabile.

Probabilmente quindi l’unica strada percorribile sarà quella della scaletta con suddivisione per  le grandi categorie previste, con le inevitabili eccezioni dettate da criteri eterogenei ed estemporanei, non ultimo la pressante ‘motivazione’ del candidato al ‘sorpasso’.

A questo proposito risulta molto interessante il dilemma etico contenuto nella opzione che Hurst et Arbo appellano come Disney Fast pass. cui fa riferimento la analisi pubblicata in questo blog.  Come spesso succede la teoria e  la pratica nel mondo reale rimangono distanti; in particolare i due autori ritengono che la proposta di Levine (i super- ricchi possono saltare la fila, pagando un sostanzioso contributo all’agenzia della salute) sia eticamente scorretta per  infrazione al principio di uguaglianza della dignità di ogni individuo; e sostengono tale argomentazione in un Paese (Usa) che, per storia e cultura, ha sempre non solo sottovalutato, ma attivamente osteggiato l’equa distribuzione delle risorse sanitarie , per cui  l’unico principio di uguaglianza sino ad ora rispettato è stato quello tra le caratteristiche della assicurazione sanitaria del paziente ed il tipo di trattamento conseguente. 

Anche in Italia è evidente che  i principi fondanti la costituzione del Servizio Sanitario Nazionale nell’ahimè lontano 1978  (istituito per promuovere  ‘’…la salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’uguaglianza  dei cittadini nei confronti del servizio’’, art 1), nonostante  periodicamente rispolverati, non bastino a nascondere  l’attuale evidente ed universalmente tollerata monetizzazione della salute;  in tale scenario,  dato che l’oneroso acquisto delle dosi vaccinali da parte dei super-ricchi,   come conclude Massimo Sartori,  andrebbe a favore della res pubblica e non della già pingue ‘azienda’ sanitaria nazionale privata,  l’apporto di risorse potrebbe senz’altro  compensare il minimo  ritardo vaccinale causato alla restante popolazione, senza scomodare puritane obiezioni. Quesiti, riflessioni e decisioni che sono destinati a risolversi nei prossimi quattro o cinque mesi; una volta esaurita la prima tornata di vaccinazione, le dinamiche per la seconda campagna vaccinale prevista per l’inverno 2021/22 dovrebbero rientrare in un cronoprogramma automatico rispetto al calendario delle prime dosi. Potrebbero invece non placarsi le polemiche, più o meno strumentalizzate, riguardo ai criteri che verranno ora usati ed alle inevitabili conseguenze in termini di danni che la pandemia ancora produrrà sino ad allora.

2 pensieri riguardo “Verso la vaccinazione anti CoV19: corsa e ostacoli

  1. L’articolo è molto interessante. Se ho capito bene, per permettere un flusso ordinato delle energie dirette alla vaccinazione universale della popolazione, intravedi (o temi) due possibilità – che non necessariamente si escludono a vicenda.
    La prima è quella di “una dittatura politico-sanitaria che imponesse senza possibilità di discussione i criteri di precedenza e le modalità di vaccinazione”, la seconda quella di un fascicolo socio-sanitario per ogni cittadino che contenesse tutti gli elementi clinici ed extraclinici atti a determinare con che priorità egli deve accedere al vaccino.
    Sulla dittatura politica, credo che entrambi pensiamo, per formazione e per convinzione, che debba essere rifiutata, anche se è senz’altro possibile prevedere di affidare, con gli strumenti della democrazia, maggiori poteri (pro-tempore e revocabili) a chi ci governa. Ma quella che mi fa più paura è la dittatura sanitaria, di cui proprio non abbiamo bisogno. Servono invece una scienza e una medicina autorevoli, che sappiano informare in modo onesto e trasparente le persone, e ottenerne il consenso o il dissenso.
    La strada del fascicolo socio-sanitario, come fai notare, non potrà essere percorsa in breve tempo, ma credo che debba essere un obiettivo prioritario da raggiungere, grazie anche alla disponibilità delle nuove tecnologie. Il problema, questa volta, riguarderà la riservatezza e l’utilizzo che potrà essere fatto dei dati ospitati in rete. Inoltre, nel caso specifico di una prioritizzazione in corso di campagna vaccinale, emergerebbe il dilemma se utilizzare anche i dati extraclinici della singola persona per stabilire la precedenza di accesso.

  2. Ringraziando Massimo per la puntualizzazione delle due principali problematiche a cui avevo fatto riferimento nel discorso sulla campagna vaccinale, ma comuni a molte altre situazioni critiche riguardanti il servizio sanitario, vorrei scusarmi per l’uso un po’ provocatorio dei termini, e meglio precisare quanto intendevo. .
    In quanto alla ‘dittatura sanitaria’ che auspico, e non temo, quale possibile elemento a favore di una miglior gestione delle risorse, non intendevo ovviamente l’imposizione universale delle decisioni di un singolo individuo, ma l’applicazione di normative ministeriali precise alle quali tutto il servizio sanitario nazionale abbia l’obbligo di uniformarsi.
    Gli assessorati regionali avrebbero il compito di coordinare l’attività delle province e relative aziende sanitarie locali, per la applicazione di procedure e ‘algoritmi’ (nell’ultimo articolo sul vaccino che ho letto si annunciava che i medici di base hanno difficoltà alla partecipazione alla campagna, ma c’è l’algoritmo’…) messi a punto da apposite commissioni ministeriali; non sarebbe una vera dittatura, ma non sarebbe neanche quella ‘democrazia’ attuale nella quale ogni governatore od assessore regionale si sente in dovere di criticare ed interpretare in maniera personale le direttive del governo sanitario, infondendo nella popolazione quel grado di fiducia che tipicamente esercita la ‘turba medicorum’ che pronuncia diagnosi e terapie disparate sul singolo paziente.
    Di qui deriverebbe il secondo punto: l’organizzazione di un fascicolo sanitario personale completo per ogni assistito dal SSN non si crea in poco tempo solo dietro stimolo, pur potente, dell’emergenza pandemica; ma un ministero autorevole, ed anche un po’ più autoritario, potrebbe imporre l’adozione di un archivio di dati raccolti in maniera omogenea su base nazionale (lo è già, ad esempio, per il registro automobilistico, per le dichiarazioni di reddito, etc) nel quale inserire gli eventi sanitari salienti di ogni cittadino.
    Ad oggi (12 febbraio) sono state vaccinate (prima e seconda dose) più di 1.200.000 persone in Italia; ma è verosimilmente più facile sapere quante di queste hanno revisionato nell’ultimo anno gli automezzi di loro proprietà piuttosto che quale frazione di loro avesse in anamnesi malattia o positività per Cov19, informazione che, insieme al monitoraggio delle eventuali prossime infezioni, sarebbe fondamentale per guidare il proseguimento della campagna vaccinale; tale raccolta di dati non credo possa sfociare in una infrazione alla riservatezza degli stessi, ma anzi potrebbe aumentare l’attenzione alla stessa: il referto di un esame radiologico, di laboratorio, di una visita specialistica, non dovrebbe essere ritirato dal paziente dopo la produzione cartacea dello stesso, da parte di personale addetto alla stampa ed alla distribuzione dello stesso, ma sarebbe visionabile direttamente solo dal paziente e dal sanitario a cui lui si rivolge. I dati extraclinici che possono influire sul suddetto ‘algoritmo’ per priorità vaccinali sono, o dovrebbero essere, già noti al medico di base del paziente e non necessitano di essere diffusi ad altri.

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