Etica della ricerca clinica umana. 3/7: Le quattro fasi

– di Massimo Sartori –

La ricerca clinica sull’uomo si divide schematicamente in quattro fasi, anche se in condizioni particolari (come durante questa emergenza pandemica) le fasi possono essere talvolta accorpate. L’esemplificazione che segue riguarda le procedure sperimentali per permettere l’ingresso sul mercato di un nuovo farmaco, che si sia dimostrato promettente nella fase preclinica. Con alcune modifiche, lo stesso schema è valido anche per l’introduzione di altri presidi e per alcuni tipi di interventi.

La fase 1 della ricerca clinica ha due obiettivi principali: valutare la tollerabilità e la sicurezza di un farmaco e studiarne la farmacocinetica (cioè l’assorbimento, il metabolismo e l’escrezione nell’essere umano). Inoltre, in questa fase vengono definite le migliori vie di somministrazione (orale, sottocutanea, endovenosa, eccetera), le dosi accettabili  e la dose massima tollerabile, tali da non causare eventi avversi nei partecipanti allo studio.

Gli scopi della fase 1, come è visto, non sono terapeutici. Infatti, il farmaco è somministrato per lo stretto tempo necessario per ottenere le informazioni preventivate. 

In questo stadio della ricerca vengono reclutati un numero limitato di volontari, che, a seconda dei casi, possono essere sani oppure malati. Il riconoscimento o meno di un compenso ai partecipanti alla fase 1 dipende dallo sponsor e dallo studio specifico. Molte organizzazioni di ricerca clinica promuovono la partecipazione agli studi  evidenziando che viene offerta una possibilità (limitata) di guadagno. Tale pratica è particolarmente diffusa negli Stati Uniti. La legislazione e la pratica che riguardano il compenso in Europa variano notevolmente. Alcuni paesi escludono del tutto il compenso, tuttavia la prassi più frequente prevede che qualsiasi forma di compenso, o quanto meno di rimborso per le spese sostenute, venga esaminata e approvata dal comitato etico di riferimento.

Secondo l’americana Food and Drug Administration (FDA), circa il 60% dei farmaci testati nella fase 1 ricevono l’approvazione per proseguire la ricerca nella fase 2[1].

Nella fase 2, sempre nel caso che la sperimentazione riguardi un farmaco, non vengono più reclutati soggetti sani. Il medicinale, infatti, è ora somministrato soltanto a pazienti affetti dalla condizione morbosa per la quale esso è proposto, alle dosi che si sono dimostrate sicure nella fase precedente.

I ricercatori monitorizzano i pazienti per vedere se la medicina è efficace nei confronti dei sintomi e/o dei segni della malattia e per raccogliere ulteriori informazioni su eventuali effetti collaterali che essa può provocare. In questa fase, spesso – anche se non sempre, tutti i pazienti ricevono il farmaco di cui si vuole testare l’efficacia e non è presente un gruppo di controllo. Se il farmaco si dimostra efficace e tollerato, la sperimentazione può proseguire nella fase successiva.

La FDA approva, mediamente, soltanto un terzo dei farmaci testati nella fase 2 permettendo di proseguire l’iter che potrà infine portare il medicamento alla commercializzazione.

La fase 3 della ricerca clinica coinvolge un numero più grande di pazienti di quelli arruolati in precedenza. Come nella seconda fase, i partecipanti alla ricerca sono affetti dalla patologia che ci si propone di trattare, ma essa presenta un’importante differenza nei confronti delle prime due fasi.

Infatti, il trial deve ora dimostrare che il nuovo farmaco, che ha già evidenziato una certa efficacia, è migliore del placebo (se per quel sintomo o per quella patologia non esiste un trattamento valido), oppure della terapia standard, nel caso in cui essa sia già disponibile. Altri studi (chiamati di ‘non inferiorità’) devono semplicemente dimostrare che il nuovo farmaco funziona tanto bene quanto la terapia standard (in questo caso facendosi preferire a quest’ultima, ad esempio, perché è gravato da meno effetti collaterali). Infine, sempre nella fase 3, vengono studiate la comparsa, la tipologia e la gravità degli effetti collaterali del farmaco oggetto della sperimentazione.

Per dimostrare la superiorità (o la non inferiorità) del farmaco sperimentale, i ricercatori usano un processo chiamato randomizzazione. Questo significa che i pazienti vengono assegnati, in modo casuale, a ricevere il trattamento sperimentale oppure la terapia standard (o il placebo, se non esiste terapia standard).

La randomizzazione ha lo scopo di aumentare la probabilità che altre variabili, non considerate nel disegno dello studio, si distribuiscano in maniera uniforme nel gruppo sperimentale e in quello di controllo. In questo modo, le differenze osservate nel raggiungimento degli obiettivi dello studio possono essere con maggior confidenza attribuite al trattamento (e non ad altre variabili non studiate).

Ogni volta che è possibile, gli studi di fase 3 (chiamati trial clinici randomizzati) sono condotti in doppio cieco: questo significa che né il medico, né il paziente conoscono se un determinato partecipante alla ricerca stia assumendo il farmaco sperimentale oppure la terapia standard/placebo.

Infatti, l’identità di coloro che ricevono il farmaco sperimentale o la terapia standard/placebo è resa nota soltanto a ricercatori che non sono coinvolti nel rapporto con i pazienti, e, in assenza di effetti collaterali gravi, questo avviene soltanto nel momento in cui si decide di procedere con l’analisi dei dati. La doppia cecità mira ad eliminare i bias (intesi nel significato di costrutti e pregiudizi che possono indurre in errore) nella raccolta e nell’interpretazione dei risultati.

In genere, un nuovo farmaco, per essere commercializzato in un determinato Paese, deve avere superato con successo la fase 3 della ricerca clinica. Questo risultato deve essere certificato da un organismo regolatore competente, quali la FDA o l’europea EMA (European Medicines Agency).

Negli Stati Uniti, La FDA approva, mediamente, il 60% dei farmaci che raggiungono la fase 3. Cumulativamente, nel decennio 2006-2015, soltanto il 10% dei farmaci che sono studiati nella fase 1 è giunto all’approvazione da parte della FDA e alla commercializzazione, dopo avere completato l’iter delle tre fasi. Questa percentuale è risultata più alta per i farmaci ematologici (26%) e più bassa per quelli oncologici (5%)[2].

La fase 4 comprende gli studi eseguiti durante il periodo di sorveglianza che segue  l’immissione in commercio del farmaco. Il medicamento, che ha già superato le tre fasi precedenti ed è stato approvato dagli enti di riferimento (in Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA) viene monitorato nelle sue reali condizioni di uso in un’ampia popolazione di pazienti.

La ricerca, in questa ultima fase, ha l’obiettivo di fornire informazioni sull’efficacia e sulla sicurezza del farmaco nel lungo periodo. In questo stadio, ad esempio, possono comparire effetti indesiderati e reazioni avverse rare, che difficilmente vengono osservate nei partecipanti (relativamente meno numerosi) degli studi di fase 1-2-3 propedeutici alla messa in commercio.

Naturalmente, in quest’ultima fase della ricerca, tutti i pazienti cui il farmaco viene prescritto, e che accettano di assumerlo, ricevono il medicamento che è stato oggetto della sperimentazione, in assenza di gruppo di controllo.

Nel prossimo articolo, esamineremo quali problemi etici possono presentarsi nel corso delle quattro fasi della sperimentazione clinica sull’uomo.


[1] https://www.healthline.com/health/clinical-trial-phases

[2] https://www.bio.org/sites/default/files/legacy/bioorg/docs/Clinical%20Development%20Success%20Rates%202006-2015%20-%20BIO,%20Biomedtracker,%20Amplion%202016.pdf

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