Nel corso di questa fase della pandemia di Covid-19, il desiderio di tornare alla normalità accende periodicamente il dibattito sull’introduzione del passaporto vaccinale, strumento che potrebbe permettere a chi ne sia detentore di accedere a servizi che – a causa del rischio di contagio – sono al momento sospesi per tutti.
Ad esempio, è di pochi giorni fa la notizia che è allo studio della Commissione Europea l’introduzione di un pass, vincolante per gli Stati membri, che permetta gli spostamenti delle persone che ne siano in possesso attraverso le frontiere, che resterebbero invece chiuse per chi non ne sia dotato. Questa idea è fortemente sostenuta, in Europa, dai Paesi a maggiore vocazione turistica, che sperano così di potere accogliere in sicurezza i visitatori stranieri nella prossima estate.
L’uso del passaporto vaccinale potrebbe permettere di regolamentare l’accesso a molte altre attività sociali e consentire l’ingresso in luoghi altrimenti vietati, quali hotel, ristoranti, bar, palestre, teatri, nonché di partecipare a eventi affollati, quali ad esempio i matrimoni.
Molti sono d’accordo che il senso complessivo della proposta di questi pass è quello di ridurre la limitazione di alcune libertà fondamentali, almeno per coloro che non corrono soverchi rischi da un allentamento di specifiche restrizioni, permettendo così lo svolgimento di attività socialmente ed economicamente utili. Nonostante questo generico consenso, la proposta suscita opposizioni significative, come riportato in un recentissimo articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine[i]
Le obiezioni all’istituzione del passaporto vaccinale
Il primo motivo di disaccordo con l’istituzione del passaporto vaccinale riguarda il fatto che riconoscere la sua validità conferisce un privilegio alle persone che hanno avuto un accesso prioritario alla vaccinazione, in un periodo di tempo in cui le dosi da somministrare non sono state sufficienti per vaccinare chiunque ne avesse fatto richiesta.
La seconda obiezione, collegata alla prima, si basa sull’assunto che – anche quando non vi sarà più carenza di dosi vaccinali – i tassi di vaccinazione rimarranno più bassi presso alcune minoranze, soprattutto a basso reddito, che potranno così essere discriminate.
Il terzo rilievo riguarda la penalizzazione di coloro che, per motivi religiosi o filosofici, non vogliono essere vaccinati e che quindi saranno esclusi dai benefici del passaporto.
A queste considerazioni critiche di carattere etico si aggiungono le incertezze scientifiche riguardo al grado di protezione dei vaccini nei confronti della nuove varianti, e riguardo alla potenziale possibilità di trasmettere il virus anche da parte di coloro che sono stati vaccinati.
Un passaporto (quasi) per tutti
Nell’insieme, queste obiezioni non sembrano opporre un ostacolo definitivo all’introduzione di uno strumento che può permettere, con gradualità e accettando un rischio ragionevole, di riconquistare alcuni spazi di libertà, quali la possibilità di muoversi e di incontrare in presenza altre persone.
Penso, infatti, che una risposta convincente alle prime due obiezioni possa venire dalla messa in atto di una prioritizzazione nell’offerta dell’accesso ai vaccini che sia eticamente inattaccabile. In altre parole, da un sistema trasparente ed esplicito, secondo cui possano accedere per primi al vaccino coloro che, se non vaccinati, corrono i rischi di malattia più grandi e chi, in ragione delle sue mansioni o dello stile di vita, ha più probabilità di trasmettere l’infezione (nel caso che si confermino gli studi preliminari che suggeriscono che i vaccinati hanno meno probabilità dei non vaccinati di trasmettere il virus).
Riguardo a quest’ultimo punto, le incertezze legate alla conoscenza incompleta dell’efficacia dei vaccini nel ridurre la capacità infettante dei soggetti vaccinati non potranno che essere dissolte dall’esito di nuovi studi scientifici. Poiché questa conoscenza è davvero cruciale per permettere ai decisori di fare scelte di salute pubblica che siano fondate, inclusa la decisione di autorizzare o meno l’impiego del passaporto vaccinale, la comunità scientifica deve tenere conto di questa necessità, indirizzando in modo conseguente la ricerca e coordinando gli sforzi per offrire risposte solide.
Per quanto riguarda la replica alla terza obiezione, come è stato notato da Hall e Studdert nel lavoro citato, coloro che, anche per nobili motivi, non accettino la vaccinazione contro SARS-CoV-2 potrebbero farsi carico di alcune conseguenze del loro rifiuto, fra cui quella di rinunciare ai benefici del passaporto vaccinale.
[i] https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2104289?query=featured_home
Qualche riflessione in merito al passaporto vaccinale, cercherò di esprimere le mie perplessità in modo non assertivo, ma dubitativo. Prima di tutto una considerazione: aprire i luoghi attualmente chiusi per garantire la sicurezza dei cittadini non può avvenire in modo selettivo, perché questo può accadere solo se chi desidera accedere è fuori legge (es. perquisito all’ingresso risulta essere detentore di armi o simili). Dunque il passaporto dovrebbe essere documento che attesta l’avvenuta vaccinazione obbligatoria, e questo è il punto dolente. Se lo/gli stati antepongono l’obbligatorietà del passaporto per entrare in luoghi e/o paesi all’obbligatorietà della vaccinazione, compiono a mio avviso un atto di ribaltamento dei compiti che sono propri delle istituzioni. Mi spiego: lo Stato dovrebbe garantire ai cittadini il suo ruolo di sicurezza/protezione, prima di tutto fornendo informazioni chiare e dirette sulla effettiva copertura raggiunta attraverso la vaccinazione, sulle possibilità di contrarre ancora il virus pur in forma lieve, non letale né grave, sulla trasmissibilità ecc. Si continua a ripetere infatti che, anche dopo la vaccinazione, bisognerà continuare a mantenere le forme di protezione/mitigazione, dunque non saremo protetti in modo duraturo, come per altri tipi di vaccinazione (vaiolo, poliomielite, morbillo); l’obbligatorietà di un passaporto vaccinale a mio avviso salta un passaggio: lo stato deve rendere obbligatoria la vaccinazione, perché esita tanto, anche solo per gli operatori sanitari, sulla cui opportunità credo si possano raccogliere larghi consensi?
Nell’intervista odierna su “Repubblica” all’immunologo Alberto Mantovani si prospetta chiaramente uno scenario futuro in cui la vaccinazione anti-Covid dovrà essere ripetuta per un numero imprecisato di anni, data la sua bassa durata di copertura (otto/dieci mesi) e l’insorgere di variabili non prevedibili. Che cosa ci dice in proposito la scienza: possiamo sperare in un indebolimento del virus, tanto da auspicare la sua scomparsa, via via che la popolazione svilupperà progressivamente anticorpi nei confronti di tutte le ipotizzabili varianti? E poi, quale popolazione? Purtroppo, o per fortuna, il mondo è assai variegato e difforme, raggiungere tutti sarà impresa ciclopica già in questa prima fase (pensiamo al numero giornaliero di morti in Brasile!)
Ritorno dopo un mese sul tema. L’ipotesi dell’istituzione di pass vaccinali si sta concretizzando in Italia e in molti altri Paesi. Anche se lo scopo primario dei pass sembra essere quello di permettere ai vaccinati la partecipazione, in relativa sicurezza, alle attività sociali e alla conseguente rivitalizzazione dell’economia ad esse collegate, si sta evidenziando una loro ulteriore funzione. Quella di agire come una sorta di nudging (spinta – più o meno – gentile) nei confronti di chi esita a vaccinarsi.
Infatti, i teorici del nudging pensano che i sostegni positivi o gli aiuti indiretti possano influenzare le decisioni e i comportamenti degli individui e dei gruppi, almeno con la stessa efficacia che hanno le istruzioni dirette e le coercizioni. Tuttavia, il nudging è eticamente problematico, almeno per coloro che sostengono che esso viola l’autonomia degli individui.
I decisori politici, per fare in modo che gran parte della popolazione si vaccini (a beneficio di tutti), hanno un’alternativa al nudging ed essa è appunto quella suggerita da Luisa nel commento precedente, cioè il rendere obbligatoria la vaccinazione contro Covid-19.
Tuttavia, la vaccinazione non è un’azione priva di rischi; essa implica una valutazione sia dei rischi che dei benefici. E’ giusto quindi che gli individui la cui posizione non ha un impatto significativo sulla sicurezza pubblica siano liberi di rifiutare la vaccinazione. Per combattere il fenomeno dell’esitazione vaccinale i pass vaccinali potrebbero rispettare l’autonomia delle persone più dell’obbligo a vaccinarsi.