Durante la giornata di studio i relatori e gli intervenuti hanno affrontato alcuni problemi etici in pediatria e in psichiatria.
Nell’introduzione ai lavori Maurizio Mori è andato subito al cuore del problema. Si è chiesto chi debba accordare (o rifiutare) il consenso informato alle procedure mediche, quando i soggetti interessati, come gli infanti o alcuni pazienti psichiatrici, non sono ancora o non sono al momento in grado di esprimere un consenso.
Il consenso informato negli infanti
Elisabetta Bignamini, pneumologa pediatra, ha passato in rassegna alcuni casi della letteratura in cui si è posto il dilemma se prendere una decisione cruciale in base al cosiddetto ‘best interest’ dell’infante, oppure secondo i desideri dei genitori. A partire dalla propria ventennale esperienza sul campo, la relatrice, per superare la contrapposizione, sembra optare per la ricerca di una comunicazione empatica con i genitori da parte dei curanti. Ella sembra infatti convinta – come l’eticista britannico Dominic Wilkinson – che a volte le scelte che riguardano la terapia intensiva degli infanti avvengono in ampie zone grigie fra danno e beneficio.
L’importanza della relazione fra medici e genitori, come presupposto per arrivare a scelte condivise per l’infante, è stata ribadita da Anna Maria Baldelli, magistrato. Baldelli ritiene che “Il medico deve farsi carico delle ragioni del genitore, così come il genitore deve farsi carico delle ragioni del medico”. Non è quello che è avvenuto – secondo la relatrice – nei casi famosi di Charlie Gard e di Pippa Knight, nei confronti dei quali i giudici britannici avrebbero deciso basandosi su quello da essi considerato il ‘best interest’ dell’infante, contro il parere dei genitori.
Nella discussione che è seguita, è stato tuttavia osservato, da parte di Lucia De Zen, come non si debba necessariamente permettere ai genitori di seguire l’idea che “se c’è una speranza … allora proviamo”. Infatti, essi possono facilmente confondere la speranza con l’illusione.
Il consenso informato in psichiatria
Del consenso informato in psichiatria ha parlato Antonello Lanteri, psichiatra e consigliere dell’Associazione Emanuele Lomonaco. Lanteri ha sostenuto il diritto di ogni cittadino – e quindi anche di chi è affetto da malattia mentale – di accettare o di rifiutare le cure proposte. Alla comune obiezione che la mancanza di consapevolezza di malattia può rendere invalido il consenso, il relatore ha replicato che è appunto un compito dello psichiatra quello di permettere all’interlocutore di raggiungere questa necessaria comprensione.
Può questo diritto ad autodeterminarsi del malato mentale spingersi sino al rifiuto di cure salvavita o alla richiesta di essere aiutato a morire? Il relatore non ha dato una risposta netta alla domanda, ma ha sottolineato come – generalmente – la malattia mentale non rappresenti una condizione continua, né tantomeno inguaribile. Le istanze di morte nei pazienti psichiatrici, secondo Lanteri, sono generalmente transitorie e trattabili. Quando così non è, come in alcuni casi di depressione grave, il paziente non chiede di essere aiutato a morire, ma attua da sé il tentativo di suicidio.
Alessandro Attilio Negroni, ricercatore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Genova, ha cercato di dimostrare come l’idea stessa di consenso informato sia in crisi di fronte alla rivitalizzazione del paternalismo psichiatrico, che è coercitivo. Un antidoto, secondo il relatore, consiste nel rispetto della IX convenzione ONU sui diritti della disabilità. Essa prevede (articolo 12) che le persone con disabilità hanno il diritto di essere riconosciute con le stesse capacità legali di ogni altro cittadino. In questo processo, le persone disabili (e quindi anche coloro che soffrono di una malattia mentale) devono essere supportate nel percorso decisionale, senza coercizione.
Anche per Enrico Daly, laureato in Giurisprudenza e in Filosofia, si è assistito in Italia, negli ultimi due decenni, a un progressivo svuotamento dei contenuti della legge 180 (Legge Basaglia). Ciò è testimoniato, ad esempio, dall’aumento del numero delle strutture residenziali per malati mentali.
Tuttavia, argomenta Daly, il consenso informato è fondato costituzionalmente e costituisce un diritto del cittadino da cui non si torna indietro. Inoltre, la legge 180 prevede il principio volontaristico nel trattamento del paziente con malattia mentale. Il relatore intravede allora nell’applicazione della legge 209/2017 (con riferimento alle DAT e alla pianificazione condivisa delle cure) lo strumento per invertire la tendenza alla re-istituzionalizzazione dei malati.
Il consenso informato per i minorenni
A conclusione della giornata, Maria Teresa Busca ha illustrato la “Procedura del consenso informato per il trapianto di polmone nei pazienti minorenni”[i]. Il documento riguarda giovani pazienti ammalati di fibrosi cistica, che potrebbero essere sottoposti a trapianto polmonare. La Lega Italiana Fibrosi Cistica ha condiviso i contenuti della Procedura. L’importanza del documento potrebbe essere però più rilevante. Infatti, i concetti che lo informano potrebbero essere estesi anche ad altre situazioni sanitarie che riguardano i minori e in cui devono essere prese decisioni di importanza fondamentale.
Nella procedura è data ampia considerazione alla volontà dei minori, riconoscendo loro la capacità di prendere decisioni rispetto al proprio corpo. Di conseguenza, l’età anagrafica del minore non dovrebbe essere un fattore decisivo per non avere titolo a decidere.
[i] Procedura del consenso informato al trapianto di polmoni nei pazienti minorenni. Bioetica. Rivista Interdisciplinare. 2019; 27(1): 95-156.