Accanimento e futilità in medicina (1/5). Introduzione

– di Massimo Sartori –

L’esecuzione di accertamenti o di terapie mediche che non possono dare beneficio al malato è di solito causa di rischi e di sofferenze inutili. Inoltre, essa provoca uno spreco di risorse sanitarie. Nell’insieme, queste condizioni vengono riferite, specie in Italia, al cosiddetto accanimento (diagnostico o terapeutico). Invece, nei Paesi anglosassoni il termine che viene usato per riassumerle è di solito quello di medical futility (futilità medica).

Lo scopo principale di questa serie di post è quello di descrivere l’origine e l’attuale significato delle due parole (accanimento e futilità), per comprendere sino a che punto esse si riferiscano alle stesse situazioni sanitarie.

In questo primo articolo, riassumerò i casi clinici di due neonati che sono stati trattati in modo intensivo. Per entrambi si pone il problema di capire se le cure che hanno ricevuto possano essere considerate come esempi di accanimento e/o di futilità. Nel secondo post passerò in rassegna l’etimologia, la semantica e l’uso del termine accanimento, riferito ai trattamenti medici. A seguire, nel terzo intervento, indagherò l’origine e l’evoluzione del concetto di medical futility e i problemi che esso sottende nel rapporto fra medici e pazienti. Nella quarta parte, presenterò alcuni esempi clinici in cui accanimento e futilità coesistono ed altri in cui non coesistono. Nel quinto e ultimo post proverò a capire in che direzioni si sta muovendo il dibattito per superare le condizioni che portano a ciò che ora definiamo come accanimento e/o come futilità.

Il caso Marasco

Davide Marasco è stato un neonato, morto il 18 luglio 2008 a meno di tre mesi dalla nascita. Era affetto da Sindrome di Potter (ora chiamata preferibilmente Sequenza di Potter), condizione clinica congenita che associa all’assenza dei reni la patologia di altri organi, la più grave delle quali è rappresentata da un insufficiente sviluppo dei polmoni. In quella data, non erano noti casi di sopravvivenza di neonati affetti dalla mancanza congenita dei reni.

Consci della prognosi del neonato, i genitori si opposero alla proposta dei medici curanti di sottoporre il proprio figlio all’emodialisi. Tuttavia, su richiesta del pediatra che aveva in cura l’infante, il Tribunale dei minorenni di Bari sospese i genitori dalla potestà genitoriale, nominò come tutore il medico e autorizzò il trasferimento del neonato presso un Centro dove potesse essere dializzato. Durante il ricovero, come riportato da un suo parente [i], Davide fu sottoposto – oltre che agli esami diagnostici – ad intubazione orotracheale, drenaggio pleurico, impianto di catetere venoso centrale, predisposizione di accesso vascolare per dialisi, cateterizzazione peritoneale, nonché ad un intervento chirurgico per risolvere una ritenzione dei testicoli.

A distanza di più di un decennio, il Tribunale di Bari, con sentenza del 14 febbraio 2019, ha stabilito che i trattamenti terapeutici (emodialisi, orchidopessi e antibioticoterapia) concretarono un accanimento terapeutico globalmente considerato che non comportava alcuna possibilità di utili risultati terapeutici, limitandosi a protrarre per poco la sopravvivenza penosa in termini di sofferenza fisica del neonato. Come fa notare la costituzionalista Lavinia Del Corona, in questa sentenza l’accertamento circa la sussistenza di accanimento terapeutico è stato il più possibile ancorato a un’analisi oggettiva dell’utilità del trattamento e della proporzionalità dei mezzi impiegati rispetto al loro prevedibile risultato terapeutico[ii].

Il caso Herrera

Oggi, è pubblicamente documentato perlomeno un caso di lunga sopravvivenza di una bambina con agenesia renale bilaterale e sindrome di Potter. La storia, così come è riportata dai media, è intrigante[iii]. Quando la madre della bambina seppe – durante un’ecografia – che non erano presenti i reni della nascitura e che quindi la figlia sarebbe morta poco dopo la nascita, decise di sottoporsi a un trattamento innovativo, e mai sperimentato in tale condizione, che si proponeva di favorire lo sviluppo intrauterino dei polmoni. Lo scopo era quello che la neonata alla nascita potesse essere sottoposta alla dialisi, senza rischiare di morire per insufficienza respiratoria. Il trattamento per permettere lo sviluppo dei polmoni ebbe successo e la neonata, dopo la nascita, fu posta in emodialisi.

A due anni di età alla piccola fu trapiantato un rene, donato dal padre. Ora Abigail Herrera Beutler ha sette anni e apparentemente gode di buona salute. La madre, Jaime Herrera Beutler, che è una politica statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per il terzo distretto congressuale di Washington, sostiene che altri bambini con Sequenza di Potter, seguendo il percorso sperimentale da lei inaugurato presso il Johns Hopkins Hospital di Baltimora, sono sopravvissuti e sono stati trapiantati.

Con il senno di poi, è difficile rubricare il caso clinico Herrera come un esempio di accanimento terapeutico o di futilità medica. Al contrario, molti di noi concorderanno con le motivazioni della recente sentenza dei giudici di Bari, che riguarda il caso Marasco. Nel prossimo post sull’argomento, cercheremo di esaminare l’origine e il significato del termine accanimento terapeutico per capire perché due casi di neonati con una patologia simile, entrambi trattati in modo intensivo, ci portino a reagire e a giudicare in modo differente.


[i] https://www.glistatigenerali.com/bioetica/davide-marasco-fu-accanimento-terapeutico/

[ii] L. Del Corona, Il caso Marasco: quando mantenere in vita “ad ogni costo” configura un’oggettiva forma di accanimento terapeutico. Bioetica Rivista interdisciplinare. 2019: 2-3, p. 314.

[iii] https://edition.cnn.com/2017/06/12/politics/jaime-herrera-beutler-badass-women-of-washington/index.html

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