Vorrei esprimere una opinione riguardo al dibattito tra il professor Mori ed il dr Conte, coinvolgente temi davvero importanti ed esposti da due punti di vista diversi e ben consolidati; io non ho né la preparazione teorica di uno studioso di etica né quella di un teologo, ma per il mestiere che ho scelto mi sono trovato spesso a dover riflettere sui temi esposti nel citato discorso del Papa del 27 settembre scorso.
In effetti Papa Francesco ‘rompe’. Come era di rottura la ‘politica’ del santo da cui ha voluto prendere il nome quando ha assunto la sua carica attuale.
E come allora Francesco da Assisi, anche lui viene ampiamente criticato dall’establishment per alcuni modi di porsi in aperto contrasto con quanto, secondo lui, contravviene ai principi cristiani.
Non mi sembra comunque che ‘attacchi’, ma che piuttosto difenda la comunità cristiana, secondo i propri principi, dall’attacco esterno (ed a volte interno).
Riguardo ai termini ‘un po’ forti’ che ha usato nel discorso suddetto non penso siano offensivi per gli operatori del (decadente?) SSN.
Quando parla di assassinio, credo sia una conseguenza diretta del considerare vita anche quella intrauterina, seppur non autonoma; per chi, per propria convinzione religiosa equipara lo stadio fetale a quello del neonato, la parola ‘assassinio’ se pur forte, è congrua.
Assassinio non commesso direttamente ma come mandante, quindi con l’aiuto di un ‘sicario’, come è definito dal dizionario Treccani chi esegue un omicidio dietro commissione; ( l’aggettivo ‘prezzolato’, che compare anche sul dizionario Oxford di Google, se vogliamo introdurlo è sì dispregiativo, ma non sostanzialmente inesatto, non credo vi siano operatori che agiscano in regime gratuito, fuori orario di servizio, pro bono); l’operatore sanitario che si trova ad eseguirlo non ha posto indicazione a farlo, ma lo fa per decisione/commissione della paziente; ne consegue che chi giudica un crimine l’aborto debba considerarlo complice ( a questo proposito fa riflettere l’alta percentuale di verosimili cattolici integralisti e quindi indotti all’obiezione di coscienza, tra i ginecologi)
Riguardo all’affermazione di Patrizio Conte, ‘che l’aborto sia una sconfitta per la mamma , per il papà e per tutti noi come società’, non penso ci siano dubbi; si arriva all’aborto quando una società che come la nostra si definisce evoluta, non ha saputo trasmettere ai suoi figli ed alle sue figlie una efficace educazione al sesso, alla conoscenza del proprio corpo, all’etica delle relazioni interpersonali, all’uso di una delle varie possibilità di contraccezione; indipendentemente dal giudizio sulla liceità dell’aborto, è chiaro che rappresenti un fallimento di tutto quanto poteva/doveva essere messo in atto per prevenirlo.
E sempre riguardo alla critica verso gli operatori sanitari, non credo che con la citazione dell’eutanasia ‘nascosta’ per gli anziani, il papa si sia rivolto solo ai medici prescrittori, ma alla importanza che il comportamento comune dà al trattamento, farmacologico e non, delle patologie dell’anziano.
Quindi, pur non condividendo le posizioni del papa circa aborto ed eutanasia, non credo che il suo discorso, rivolto al popolo cristiano, sia così scandaloso nei concetti esposti; ha sostenuto, con terminologia più cruda e diretta, in brevi accenni, quello che sostanzialmente hanno sempre sostenuto i suoi predecessori, negando per principio l’assistenza a donne in difficoltà, esposte ai disagi psicologici ed ai rischi sanitari correlati ad aborti clandestini.
Quello che mi colpisce però, in questo dibattito, è l’assenza di commenti verso il punto principale affrontato dal pontefice nel suo discorso: il principio di eguaglianza del diritto alla salute e l’incitamento a mantenere dove è presente ed introdurre dove manca una efficiente assistenza sanitaria gratuita. .
Questo punto, a mio avviso fondamentale sia per i cristiani che per il laici ‘credenti nel SSN’ passa costantemente sotto silenzio, sia da parte degli uni che degli altri.
Nonostante la nostra attenzione a grandi e piccoli aspetti riguardanti la cultura, la tecnologia, il teatrino politico, lo sport, quando parliamo del nostro SSN con uno straniero, diciamo e contenti ci sentiamo dire che in Italia abbiamo una politica di diritto universale alla salute, proprio come fosse realtà.
Non si levano molte voci a sottolineare che in questa fase, che io considero ‘decadente’, del nostro SSN il diritto alla salute non è più rivolto a ‘tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio’, come recita l’articolo 1 della legge per l’Istituzione del SSN del dicembre 1978 .
Eppure è sempre più evidente che in relazione alla ricchezza individuale si accede prima e meglio alle risorse sanitarie; e questo non solo per quanto riguarda i rapporti tra cittadino e sistema sanitario privato.
Nel suo rapporto con il SSN il cittadino deve pagare un contributo (ticket è meglio?), se non esente; e l’esborso della stessa cifra, poniamo circa 300€ che servono per una visita specialistica, con la prescrizione di un prelievo ematico, un’ecografia ed una TC o RMN (iter che in regime non di urgenza può richiedere alcuni mesi) non rappresenta lo stesso impegno per un imprenditore e per un impiegato con famiglia e contratto di lavoro temporaneo.
Lungo iter diagnostico che può essere notevolmente abbreviato nella tempistica e probabilmente più accurato nelle risposte se si fa ricorso alle stesse strutture pubbliche, ma con la formula di attività libero professionale intramoenia (si può definire prezzolata?), e come per magia, sfruttando la teoria della relatività di tempo e spazio di Einstein, i 3-4 mesi diventano 1-2 settimane; ma i costi obbligherebbero il suddetto impiegato all’impegno di una sua mensilità, mentre per l’imprenditore basterebbe rinunciare a regalare alla moglie quella borsetta di moda che è indispensabile per la ‘prima’ alla stagione teatrale di quest’anno, in quanto la borsetta dello scorso anno è ‘scaduta’. Non sembra rispettato il principio di eguaglianza dei cittadini rispetto al servizio sanitario.
Ed inoltre è noto come l’uso a posologia ridotta, o ad intermittenza, di un farmaco non interamente ‘passato’ dal SSN sia pratica comune negli strati meno abbienti della popolazione, oltre che negli anziani; a maggior ragione negli anziani poveri, senza scomodare l’eutanasia nascosta.
E questo con buona pace del Ministero della salute, dei governatori, dei DG, dei media, ma anche di buona parte della Chiesa, della maggior parte dei partiti politici, di molti che si occupano di etica ed infine di tutto il popolo italiano (che dovrebbe altrimenti pagare più tasse per garantire una assistenza sanitaria più allargata), sino a che è sano.
Tutto ciò per ribadire che, pur ritenendo basilare l’approfondimento dei temi di inizio e fine vita, mi piacerebbe vedere, in un dibattito sull’etica biologica, più spazio e più passione per la discussione di un argomento, a mio avviso anch’esso fondamentale, quale la liceità della monetizzazione del corpo umano e della sua salute.
Quindi mi rimane il quesito: qual è il valore/prezzo della vita umana e della sua cura, tra il momento della nascita e la fase finale, quindi per la maggior parte della sua durata?
E’ un valore universale od individualizzato per stato sociale, censo, età od altre variabili? E’ un tabù che non può essere affrontato? Possiamo/dobbiamo dire che i principi fondanti la ‘costituzione’ (del SSN) sono ormai obsoleti?