– commento di Palma Sgreccia –
Lo Sapio si muove su due versanti: 1) da una parte elabora una cornice teorica dell’etica dell’estinzione dei sapiens, 2) dall’altra analizza le specifiche questioni della pandemia.
1. La cornice teorica dell’etica dell’estinzione
L’Autore scrive che la sua “etica dell’estinzione” si collega alla (1) bioetica globale di Potter, ora rivitalizzata da Henk ten Have, (2) all’etica della responsabilità di Jonas e, in modo diverso, al (3) movimento transumanista di Nick Bostrom e Julian Savulescu.
Sottolinea che per vari decenni la bioetica di Reich e Callahan, intesa come riflessione intorno al comportamento umano nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, ha prevalso sulla bioetica di Potter e Jonas, quella intesa come scienza della sopravvivenza, capace di mettere in dialogo scienze biologiche e scienze umanistiche, al fine di offrire all’uomo contemporaneo chance di sopravvivenza (cfr. p. 36).
Innanzitutto l’etica dell’estinzione è un’eco-bioetica, che guarda “le interconnessioni tra umani e animali non umani, individuo e collettività, Paesi ricchi e Paesi poveri, sanità globale e sanità territoriale, che la pandemia ha fatto emergere o, in alcuni casi, ha consentito di mettere in evidenza” (p. 37).
L’etica dell’estinzione è inoltre un’etica di specie improntata all’umiltà evoluzionistica cioè alla consapevolezza che siamo tutti parte di un’unica rete (“dispensabilità ontologica”) e, con umiltà, riconosciamo che non ci sono gerarchie ontologiche (cfr. p. 61).
Dal Movimento transumanista riprende l’analisi dei rischi esistenziali che la nostra specie sta correndo e la necessità di modificare in profondità, anche con la tecnologia, le nostre posture morali per evitare la catastrofe finale. Per evitare il rischio esistenziale dobbiamo andare oltre la morale del senso comune che ci porta ad aver paura delle perdite, a preferire lo status quo, a porre maggior attenzione al non nuocere piuttosto che al fare del bene, a sentirci responsabili per ciò che abbiamo fatto ma non per ciò che omettiamo; infine, ad empatizzare con chi ci sta vicino (bias della prossimità).
Lo Sapio scrive che: “Per ottenere il risultato sperato, potenziamento delle nostre predisposizioni morali e strutturazione di un’etica di specie, è opportuno approntare una strategia a più fuochi, in cui non va escluso né il lavoro culturale, né, eventualmente, l’impiego di mezzi bio-tecnologici. Infine, è necessaria anche una rimodulazione delle politiche pubbliche, in vista della promozione di comportamenti benefici per la collettività e della costruzione di strategie auspicabilmente non coercitive per disincentivare comportamenti dannosi e incompatibili con la sopravvivenza della nostra specie” (p. 79).
L’Autore pone un nesso tra la sua etica dell’estinzione e l’etica della cura che richiama i concetti di fragilità sistemica e vulnerabilità. La pandemia ha fatto sì che ci scoprissimo tutti vulnerabili, fragili, interdipendenti, non autonomi, come evidenziato da Alasdair MacIntyre e Joan Tronto, che pone la cura al centro dell’azione politica.
L’Autore invita ad assumere “un’ottica collettivistica, in cui ogni individuo si senta parte di una rete e in cui la scienza è intesa come lo strumento principale (o uno degli strumenti principali) attraverso i quali trovare soluzioni per i nostri problemi” (p. 169). Definisce quest’ottica anche biorealismo, “un pensiero critico che ponga il sapere scientifico al centro” (p. 169).
Cerca di mediare l’ottica collettivista con l’attenzione al singolo attraverso un liberalismo della compatibilità che così spiega: “Il primato non va dato alle preferenze individuali ma alla compatibilità delle azioni singole con la possibilità stessa di una sopravvivenza e persistenza di sapiens (nonché delle altre specie viventi) sul pianeta” (p. 214).
2. L’etica della pandemia
La pandemia di Sars-CoV-2 rappresenta un’emergenza sanitaria in cui le interconnessioni globali, i frequenti spillover, l’aumento della popolazione anziana e, dunque, di soggetti con presenza di comorbidità, favoriscono uno spostamento di attenzione dall’etica clinica all’etica della salute pubblica.
Di fronte a questo nuovo scenario non basta il riferimento al principio di autonomia, ma serve anche quello al principio di giustizia per la difesa del bene comune (cfr. p. 124).
Secondo Lo Sapio, la pandemia ha dimostrato l’inadeguatezza dell’“eguaglianza ippocratica”, perché c’è impossibilità di curare tutti (cfr. p. 107). Inoltre, afferma, non si può agire secondo il principio del “first come, first served” perché occorre ottimizzare le risorse disponibili, occorre stabilire in modo chiaro i criteri da impiegare (cfr. p. 108).
Sostiene che l’etica dei trapianti apre ad alcune considerazioni che, con i dovuti accorgimenti, possono essere impiegate anche per fornire risposte alle questioni aperte dall’emergenza Covid. Scrive che “I criteri per l’assegnazione di un organo a un paziente in attesa di trapianto sono: l’età e l’aspettativa di vita, l’efficacia dell’intervento e la possibilità di recupero del paziente, la presenza di compromissioni severe ad altri organi o distretti corporei. Gli organi sono una risorsa scarsa e per stabilire come allocarli ci si basa su criteri di utilità, temperati da considerazioni di giustizia sociale. (p. 110). Sostiene che anche i nostri stili di vita non dovrebbero essere del tutto esclusi in un processo di valutazione dei trattamenti sanitari da erogare. Come si preferisce allocare un polmone o un cuore a un soggetto che non fa uso di sostanze alcoliche o tabacco, così si dovrebbero valutare gli stili di vita quando si deve stabilire l’ingresso in terapia intensiva (cfr. p. 113).
Approfondendo l’etica dei vaccini, scrive che vaccinarsi è: “un’azione etica, dal momento che l’altruismo e la sospensione dell’immediato interesse individuale sono gli elementi che la guidano. Dal punto di vista individuale potrebbe essere conveniente attendere che si siano vaccinate un numero significativo di persone per poter godere, come free rider, dei benefici della vaccinazione di massa senza incorrere nei possibili effetti avversi del vaccino” (p. 138).
Sottolinea che rendere obbligatorio il vaccino contro il Covid-19 chiama in causa il principio milliano che è a fondamento delle società liberali: “sul proprio corpo e sulla propria salute l’individuo è sovrano”. Tuttavia, anche in questo modello, pietra miliare del liberalismo, la minaccia a un bene collettivo, qual è la salute, può giustificare la compressione delle libertà individuali (cfr. p. 158).
Valuta positivamente l’introduzione di strumenti digitali per il contrasto della pandemia, consapevole che questo implica un percorso di parziale ristrutturazione delle nostre società liberal-democratiche, in modo che la cessione dei dati sensibili o la possibilità di tracciare gli spostamenti di un individuo siano parte di una strategia di compromesso ragionevole tra la promozione della salute pubblica e la parziale sospensione del principio di autonomia (cfr. p. 181).
Per concludere
L’etica dell’estinzione di Lo Sapio ricorda l’etica della sopravvivenza di Jonas, un’etica interspecifica, un consequenzialismo aggregazionista in cui l’obiettivo non è tanto il benessere quantificabile, come per l’utilitarismo, ma la sopravvivenza, non meglio identificata. È anche un deontologismo in quanto emerge il dovere di essere, c’è l’imperativo ontologico che si nutre dell’elemento psicologico, la paura di non essere.
La differenza con Jonas emerge a livello metafisico, per Lo Sapio “la natura è in sé indifferente” (p. 43), mentre per Jonas è intrisa di fini da rispettare. Per Lo Sapio non ci sono scopi già dati da seguire, ma scelte compatibili con la sopravvivenza dell’ecosistema, scelte in cui dobbiamo armonizzare la sfera privata e quella pubblica, l’autonomia con la giustizia.
I criteri delle scelte sembrano affidati alla scienza che deve indicare ciò che è funzionale alla sopravvivenza, compito sempre più complesso vista la globalizzazione delle questioni.
Il compito della filosofia sembra quello di fornire l’analitica esistenziale di noi “volenti non voluti”, in questa “gabbia esistenziale” in cui siamo entrati senza sceglierlo, mentre abbiamo la possibilità di uscire come vogliamo, quando non c’è la qualità di vita (cfr. p. 135). Il suo può essere definito un bio-realismo esistenzialista.
Rimane da spiegare se questa euristica della paura da sola possa cambiare la nostra attuale inadeguata psicologia morale. Amiamo troppo lo status quo, preferiamo chi ci è prossimo rispetto a chi non conosciamo, non amiamo le perdite, tutto questo non è funzionale alla sopravvivenza dei sapiens, ma come variarlo è un tema filosofico, non scientifico.
Dobbiamo autodisciplinarci, ma per farlo occorre mettere a tema il soggetto e la sua dimensione interiore, che sembra sfuggire al bio-realismo dell’Autore. Senza l’educazione di questa dimensione la persona può essere fagocitata da politiche a rischio autoritario.
Nel ricco, complesso e articolato quadro dell’etica dell’estinzione fornito dall’Autore sembra mancare l’etica in prima persona, su cui radicare la responsabilità individuale, importante per la convivenza democratica.
* Luca Lo Sapio, SARS-CoV-2. Questioni bioetiche, Tab Edizioni, Roma 2021, pp. 237
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