Accanimento terapeutico e futilità medica sono espressioni che fanno riferimento a trattamenti sanitari che non sono benefici per il paziente. Tuttavia, mancano definizioni condivise da tutti per descrivere il significato dei due termini. In questo modo, il loro impiego non sempre aiuta a risolvere i problemi che possono sorgere fra medici e pazienti nella scelta delle cure. Questa difficoltà ha portato a proporre di usare parole diverse per descrivere i conflitti e per tentare di risolverli.
Accanimento terapeutico e ostinazione irragionevole
Abbiamo già visto nei precedenti post come in Italia e in Francia ci si avvii verso un progressivo abbandono del termine accanimento terapeutico, che – da parte sua – non è mai stato adottato nei Paesi anglosassoni. L’attuale sostituzione di accanimento con ostinazione irragionevole, tuttavia, non sembra aver modificato la sua semantica ambivalente. In ogni caso, il ricorso a entrambe le espressioni dovrebbe diventare sempre più infrequente man mano che si darà piena attuazione alla disciplina del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento.
Il nodo della futilità medica
Più difficile da affrontare è il problema della medical futility. Il concetto di futilità medica è infatti considerato estremamente complesso, ambiguo, soggettivo, specifico a seconda delle varie situazioni. Esso, inoltre, si basa di volta in volta su un determinato sistema di valori e dipende dal risultato che si vuole raggiungere[1].
Come è avvenuto in Italia e in Francia con l’espressione accanimento, anche nei Paesi anglosassoni si è cercato di aggirare il problema, proponendo di usare parole che abbiano un significato meno sfuggente. L’elenco è piuttosto lungo, ma l’approccio “nominalista”, come del resto è avvenuto in Italia per accanimento, non ha portato a risultati tangibili. Ad esempio, l’uso dei termini inappropriate o potentially inappropriate – che peraltro è stato largamente accettato negli Stati Uniti – appare vago e inutile nelle situazioni in cui gli interventi sanitari possono raggiungere alcuni obiettivi desiderati dal paziente, ma in cui la loro attuazione è messa in dubbio da altre considerazioni etiche. Ad esempio, quando queste considerazioni riguardano pretese concorrenti a risorse che devono essere erogate in modo equo[2].
Come sciogliere il nodo
Come si è detto, alcuni pazienti possono desiderare di sottoporsi a trattamenti che ai medici sembrano clinicamente inutili. In proposito, Veatch affermava che, sebbene i medici siano più qualificati dei pazienti per esprimere giudizi tecnici sui trattamenti sanitari, essi non hanno una particolare competenza nel prendere decisioni su una materia così soggettiva quale la futilità[3].
Anche per questo motivo, negli ultimi anni, molti commentatori hanno rigettato la possibilità di utilizzare il concetto di futilità, quale criterio per interrompere o non iniziare le cure[4], preferendo considerare le situazioni in cui il termine futilità ricorre, come un segnale della presenza di conflitti che richiedono una attenta negoziazione fra i pazienti, le loro famiglie e gli operatori sanitari. Oggi, in molti ospedali degli Stati Uniti, al posto di utilizzare il termine futilità, si scelgono approcci di comunicazione con i pazienti e con le famiglie basati sui processi, che includono la messa a fuoco di interessi e alternative, generando un ampio range di opzioni, piuttosto che porsi in opposizione. Solo in caso di fallimento di ogni negoziazione, alcuni ospedali adottano politiche di do not resuscitate o di trasferimento del paziente in altri centri che possano soddisfarne le richieste[5].
Una possibile conclusione
Per evitare l’accanimento terapeutico (in chi è o è stato competente) è probabilmente sufficiente che la volontà del paziente informato o le sue disposizioni anticipate di trattamento siano rigorosamente rispettate. Invece, evitare di erogare trattamenti futili può essere più difficile, quando essi sono chiesti dal paziente o da chi ne ha cura.
Se è vero che un trattamento è futile quando non c’è una probabilità ragionevole che un intervento crei un effetto che il paziente è in grado di vivere come un beneficio[6], allora lo sviluppo di questa argomentazione in un dialogo privo di pregiudizi con l’interessato o con i suoi rappresentanti è probabilmente una strada da percorrere per evitare inutili sofferenze.
[1] M. Aghabarary and N.D. Nayeri. Medical futility and its challenges: a review study. Journal of Medical Ethics and History of Medicine 2016; 9:11. eCollection 2016.
[2] T.L Beauchamp and J.F. Childress. Principles of Biomedical Ethics, Eight Edition. Oxford University Press, New York 2019; pp. 173.
[3] R.M. Veatch. Why physicians cannot determine if care is futile. J Amer Geriatr Soc 1994;42:871-4.
[4] J. Paris and A. Hawkins. Futility Is a Failed Concept in Medical Decision Making: Its Use Should Be Abandoned. American Journal of Bioethics 2015;7:50-2.
[5] E.J. Emanuel. Palliative care and End-of-Life Care. In Harrison’s Principles of Medicine, Nineteenth Edition. Mc Graw Hill Education Ed. New York 2015. P. 67,
[6] L. Schneiderman, Defining Medical Futility and Improving Medical Care. Journal of Bioethical Inquiry 2011; 8(2): 123–131