Le scelte che riguardano l’accettazione o il rifiuto di un trattamento sanitario, compiute da una persona autonoma e correttamente informata, devono essere approvate senza riserve, in base al principio del rispetto per l’autonomia. In Italia, la legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento sancisce questo principio e disciplina con chiarezza questa materia.
Tuttavia, può accadere (come effettivamente sta accadendo durante la pandemia di Covid-19) che le conseguenze delle scelte autonome degli individui (che ad esempio rifiutano certi interventi sanitari) possano danneggiare altri soggetti. In questo caso, la rigida osservanza del principio del rispetto per l’autonomia potrebbe portare a esiti paradossali e indesiderabili.
Questa possibilità è stata resa esplicita in un recente comunicato della Consulta di Bioetica. In questo documento, per inquadrare il problema, si presenta un esempio, in cui si ipotizza che un eventuale soccorritore abbia la possibilità di salvare una sola fra due persone. La prima è un cultore di sport estremi, che, in un certo senso, si è messo ‘volontariamente’ nei guai, il secondo un pompiere in pericolo nell’esercizio del suo lavoro. Si assume che i due soggetti abbiano la stessa probabilità di sopravvivenza, se immediatamente soccorsi. Chi dei due dovrà essere salvato e perché proprio lui? Rimando al comunicato (1) per approfondire questa tematica e le sue implicazioni di attualità legate alla pandemia di Covid-19.
Invece, quando le conseguenze dell’accettazione o del rifiuto di un determinato intervento sanitario riguardano solo la persona a cui esso è proposto, la libertà dell’individuo autonomo di autodeterminarsi deve essere difesa con forza. Che fare invece quando l’individuo non è più autonomo? In che modo è possibile prendere decisioni sanitarie che lo riguardino e lo rispettino?
Decisioni sanitarie per chi non è più autonomo
Come si è detto, è oggi approvato nel mondo Occidentale e segnatamente in Italia che le persone autonome possano decidere in modo incontestabile quali trattamenti sanitari accettare e quali rifiutare, a meno che le loro decisioni non danneggino la salute degli altri.
Come decidere, invece, se iniziare o continuare un determinato trattamento sanitario per chi è diventato incompetente? Per chi, ad esempio, è andato incontro a uno stroke, o ha sviluppato una malattia di Alzheimer o altre forme di severo deficit cognitivo?
Sono state proposte tre modalità per operare una scelta in campo sanitario, quando il paziente non è più in grado di decidere: lo standard basato sul giudizio sostitutivo (substituted judgement standard), quello basato sull’autonomia pura (pure autonomy standard), e infine quello centrato sul miglior interesse del paziente (best interest standard)(2)
Tre modi per decidere
La modalità di decisione surrogata basata sul giudizio sostitutivo richiede che chi prende la decisione sia una persona che ha una profonda familiarità con il paziente (substituted judgement standard). Questa persona deve decidere come avrebbe deciso il paziente incompetente se fosse stato competente. Il decisore deve mettersi nei panni del paziente che non è più in grado di decidere, ragionando con la sua testa. Si tratta di uno standard debole di autonomia, che è comunque accettabile nel caso il decisore sappia rispondere in modo affidabile alla domanda: “Che cosa avrebbe scelto il paziente in questa circostanza? ”
Lo standard della pure autonomy non prevede l’intervento di un decisore surrogato, ma si basa sull’autonomia reale del paziente. Si applica esclusivamente a pazienti che, quando erano in precedenza autonomi, avevano espresso una preferenza di trattamento rispetto alla condizione per cui sono ora incompetenti a decidere. Da un punto di vista teorico, perché lo standard sia soddisfatto, non è necessario che esistano delle formali direttive anticipate, ma esso chiede che chi si prende ora cura del paziente agisca sulla base dei giudizi che quest’ultimo aveva espresso quando era autonomo. Una critica a questa modalità decisionale è che, in assenza di istruzioni esplicite, qualcuno potrebbe selezionare dalla storia del paziente i valori che combaciano con i propri e farli valere in sede di scelta .
Quando non è possibile determinare quali fossero state le preferenze espresse dal paziente al tempo in cui era autonomo, e nemmeno come egli avrebbe potuto scegliere nella situazione presente se fosse stato competente, allora può essere impiegato lo standard del miglior interesse (best interest). In questo modo, viene chiesto ai decisori surrogati di proteggere l’interesse del paziente non autonomo, nei confronti del suo stato di salute, valutando i rischi e i benefici dei vari trattamenti alternativi e scegliendo quello che ha la maggior probabilità di procurare un beneficio netto. Si tratta di una valutazione che si basa generalmente sul criterio della qualità della vita .
Quale modalità scegliere?
Beauchamp e Childress propongono di seguire un ordine di precedenza nell’impiego dei tre standard, quando si deve prendere una decisione che concerne la salute di un individuo che non è più autonomo. Come prima opzione, secondo questi Autori, bisogna decidere rispettando le scelte che un paziente, in precedenza autonomo, aveva espresso in modo attendibile (pure autonomy o substituted judgement standard). Si deve ricorrere al criterio del best interest, soltanto in assenza di una conoscenza affidabile delle sue precedenti preferenze autonome.
Ne consegue che, in generale, il modo più certo di rispettare le preferenze del paziente in precedenza autonomo è quello di dare seguito alle sue disposizioni anticipate di trattamento, scritte o comunque registrate allora per ora.
In Italia, come si è detto, la legge 219/2017 prevede le modalità con un cui queste direttive devono essere formulate e rese efficaci. Tuttavia, la legge è scarsamente applicata e, benché non siano disponibili dati ufficiali, si stima che meno dell’1% degli Italiani abbia ad oggi stilato e depositato il proprio “testamento biologico”.
A quattro anni dall’entrata in vigore della normativa, è ora di chiedersi perché.
1. Perché va ripensato il codice etico di priorità in caso di scelta tragica: un contributo alla riflessione. https://www.consultadibioetica.org/comunicato-stampa-perche-va-ripensato-il-codice-etico-di-priorita-in-caso-di-scelta-tragica-un-contributo-alla-riflessione/
2. T.L. BEAUCHAMP e J.F. CHILDRESS, Principles of Biomedical Ethics, Oxford University Press, New York 2019 pp. 139-43