L’adozione come alternativa eticamente preferibile alla gestazione per altri

– di Massimo Sartori –

La gestazione per altri (GPA) è una pratica che consente alle persone o alle coppie che non possono o non vogliono condurre una gravidanza di diventare genitori di un figlio.

Un forte argomento etico a favore della GPA è che essa offre a queste persone la possibilità di realizzare il loro desiderio di genitorialità. Ciò può migliorare significativamente la qualità della loro vita ed evitare che possano sentirsi escluse da un’esperienza così importante come quella di avere un figlio.

Vi è tuttavia un dibattito in corso sull’opportunità di considerare la genitorialità un diritto universale. Nonostante le diverse posizioni a riguardo, è stato riconosciuto dalle principali convenzioni internazionali che la genitorialità costituisce una parte fondamentale del diritto alla vita privata e familiare. Va precisato, tuttavia, che questo diritto non è assoluto e che deve essere esercitato rispettando la dignità e i diritti degli altri, inclusi quelli del bambino a crescere in un ambiente sano e sicuro. Inoltre, la genitorialità deve essere conforme alle leggi e alle norme sociali che disciplinano la famiglia e la genitorialità stessa[i].

Una strada diversa dalla GPA, che può consentire di diventare genitori a coloro che non possono o non vogliono condurre una gravidanza, è quella di adottare un figlio.

Nel presente articolo, si cercherà di esaminare se, per coloro che aspirano a diventare genitori ma non possono o non desiderano condurre una gravidanza, l’adozione costituisca un’opzione eticamente preferibile rispetto alla GPA.

Premesse

Lo svolgimento dell’argomentazione si basa sull’accettazione di due premesse: la prima premessa sostiene che la presenza di almeno uno dei genitori è importante per lo sviluppo e la salute del bambino, e che di conseguenza la mancanza di figure genitoriali è da evitare[ii]. La seconda afferma che lo stato di gravidanza comporta un rischio maggiore di malattia e di mortalità per la donna rispetto alla non-gravidanza[iii].

Confronto tra GPA e adozione: coinvolgimento delle parti e considerazioni etiche

La GPA coinvolge tre parti: chi desidera avere un figlio, la donna che accetta di portare a termine la gravidanza per altri, e il nascituro. Nell’adozione, invece, solo chi desidera avere un figlio e il bambino da adottare sono direttamente coinvolti.

Ci sono motivi morali per cui chi aspira alla genitorialità potrebbe preferire la GPA rispetto all’adozione, tra cui la possibilità di avere un figlio biologicamente connesso e il controllo sulla gestazione e la salute del nascituro. Tuttavia, chi preferisce la GPA dovrebbe tener conto che l’alternativa dell’adozione permette di fare del bene a un bambino già nato (prima premessa), evitando nel contempo i rischi della gestazione per la madre surrogata (seconda premessa).

Osserviamo ora la questione dal punto di vista della donna che si mette a disposizione per condurre una GPA. Le motivazioni che la spingono possono essere diverse, ma generalmente si riducono a due principali, che possono coesistere: aiutare una coppia o una persona a realizzare il proprio sogno di diventare genitori o ottenere una compensazione economica. Mentre il primo motivo, da solo, sembra configurarsi come un atto supererogatorio, il secondo richiede particolare attenzione per evitare situazioni di abuso e di sfruttamento.

Infine, il figlio di cui si progetta il concepimento, in quanto non esistente, non ha interesse a nascere o ad avere una famiglia, mentre il bambino da adottare ha bisogno dei genitori.

Conclusione

Sia la GPA che l’adozione offrono alle persone che non possono o non vogliono condurre una gravidanza la possibilità di diventare genitori. Tuttavia, quando l’adozione è possibile essa sembra essere moralmente preferibile alla GPA, in quanto permette a un bambino già nato e privo di genitori di avere una famiglia ed evita i rischi connessi alla gravidanza per la madre surrogata.


[i] Il diritto alla genitorialità è considerato parte integrante del diritto alla vita privata e familiare, riconosciuto implicitamente dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dagli articoli 17 e 23 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Esso comprende la libertà di ogni individuo di decidere se e quando avere figli, nonché il diritto di ricevere il sostegno necessario per far fronte alle responsabilità della genitorialità. Inoltre, esso include il diritto di ogni genitore di partecipare attivamente alla vita dei propri figli e di prendere decisioni in merito alla loro educazione e benessere.

[ii] La premessa secondo cui la presenza di almeno uno dei genitori è importante per lo sviluppo e la salute del bambino, e la mancanza di figure genitoriali è da evitare, è supportata da numerosi studi scientifici. Tuttavia, la conduzione di studi comparativi che confrontano la salute mentale dei bambini con genitori rispetto a quelli senza genitori risulta complessa, a causa delle molteplici variabili in gioco. Uno studio comparativo condotto nel 2017 da Wu & Zhang (The Effect of Parental Absence on Child Development in Rural China) ha mostrato che l’assenza dei genitori durante lo sviluppo dei bambini ha effetti negativi sulle loro capacità cognitive e non cognitive. È importante sottolineare che i risultati di questo e di altri studi simili sono difficilmente generalizzabili al di fuori del loro contesto specifico.

[iii] Durante la gravidanza, l’incidenza di alcune patologie, come l’anemia, il diabete, le infezioni delle vie urinarie e la trombosi venosa profonda, aumenta in modo statisticamente significativo rispetto alla condizione di non-gravidanza. Inoltre, alcune patologie specifiche della gravidanza, come la pre-eclampsia e l’eclampsia, possono essere pericolose per la vita e figurano tra le principali cause di mortalità materna. In media, ci sono nove decessi ogni centomila nati in Italia e in Europa, ma questa cifra è più elevata in molti Paesi a basso reddito. Vari studi clinici concordano sul fatto che, dopo il parto, il 10-15% delle puerpere sperimenta sintomi depressivi. In Italia, un quarto delle morti materne registrate tra i 43 giorni e l’anno successivo al parto sono dovute a suicidi (fonti: American College of Obstetricians and Gynecologists e Ministero della Salute Italiano).

4 pensieri riguardo “L’adozione come alternativa eticamente preferibile alla gestazione per altri

  1. Grazie per il contributo. A mio parere, l’argomentazione relativa ai rischi per la salute della donna portatrice ha un limite, ovvero credere che dobbiamo essere noi a farci carico ed essere responsabili di questi rischi. Al contrario – purché non ci siano situazioni di abuso e sfruttamento – la donna che partorisce per altri è perfettamente al corrente del suo stato di salute e di quali sono i possibili rischi legati alla gravidanza. Ed è lei e solo lei (con il supporto dell’équipe medica coinvolta) a doverli valutare; quel che spetta al personale e a chi contrattualizza l’accordo è fornire un consenso informato ed esaustivo. Fatto questo, la valutazione dei rischi non può essere messa sul piatto della moralità, perché va fatta rientrare nel diritto all’autodeterminazione della donna. Esattamente come non ci verrebbe in mente di impedire al paracadutista di lanciarsi o al pompiere di fare il suo lavoro, nonostante gli importanti rischi per la salute.
    In secondo luogo, non ci sono neonati da adottare in soprannumero: anzi. Premesso che l’adozione e la gpa sono esperienze genitoriali differenti, se ne facciamo un discorso relativo all’aiutare un bambino in difficoltà, sarebbe comunque complicatissimo per chi desidera crescere un neonato. Ad essere in attesa di adozione da molti anni, infatti, sono solo bambini e ragazzi più grandi, mentre per i neonati addirittura ci sono liste d’attesa di genitori intenzionali; fatta eccezione per le reti di adozione poco controllate e a rischio di sfruttamento, i paletti imposti dalla legge per essere genitori adottivi sono molto serrati (ad esempio l’essere sposati da X anni è una condizione prevista da varie legislazioni europee) e spesso proibitivi per coppie same-sex o single. Ed è per questo che la soluzione di adottare non è equiparabile alla gpa. Cosa sia eticamente preferibile, in tutta onestà, non è neppure di mio interesse: nessuna delle due pratiche nuoce ad alcuno contro la sua volontà. Addirittura, se proprio volessimo camminare sul filo del rasoio, mi azzarderei ad affermare che a livello etico sia più pericolosa un’adozione in cui il minore già nato non presta alcun consenso che una gpa, in cui tutte le parti coinvolte sono consenzienti ed entusiaste.

  2. Grazie Eliana per il tuo coerente intervento critico.
    Per quanto riguarda il primo punto, è vero che la donna che partorisce per altri è al corrente dei rischi associati alla gravidanza. Tuttavia, questo non significa che i rischi per la sua salute non siano importanti. Se riteniamo che il principio di autonomia sia assoluto, la tua argomentazione risulta indiscutibile. Invece, la maggior parte dei bioeticisti ritiene che tale principio debba essere bilanciato con altri principi. In ogni caso, supponendo che il rispetto dell’autonomia debba essere assoluto, ne consegue che se la medesima donna, correttamente informata delle conseguenze, decidesse dopo la gravidanza di donare (o di vendere) un rene potrebbe farlo. Addirittura, potrebbe donarli (o venderli) entrambi, ricorrendo poi alla dialisi cronica.
    Riguardo il parallelo fra la scelta della donna che si offre per una gestazione per altri e quella di coloro che svolgono lavori pericolosi, come i pompieri e i paracadutisti, penso che sia solo in parte pertinente. Infatti, l’attività di questi ultimi (in particolare quella dei pompieri) riguarda principalmente la sicurezza pubblica, mentre la GPA riguarda la sfera privata e intima della riproduzione umana.
    Nella seconda parte della tua replica sostieni che l’adozione non è equiparabile alla GPA. Sono d’accordo: certamente questo è vero per l’adozione dei bambini più grandi e in parte anche per i neonati. Nel post mi limito ad affermare che, se il desiderio che si vuole soddisfare è quello di diventare genitori, entrambe le pratiche possono adempiere a tale scopo, ma quando l’adozione è possibile essa risulta moralmente preferibile. Certo, essa non è oggi consentita in tutti i casi, ma in questo modo il discorso si sposta dal piano morale a quello legale.

  3. Anch’io, come Massimo Sartori, sono stato stimolato e a riflettere sulla omologazione della gravida al pompiere, mentre mi pare meno problematico far pace col paracadutista che decide e rischia per sé. Massimo Sartori ha già evidenziato, a mio avviso in maniera pertinente, la incompleta appropriatezza del paragone in quanto l’attività del Vigile del Fuoco ha una chiara finalità pubblica e sociale, a differenza della prestazione della donna coinvolta nella GPA. Credo però si possa aggiungere un ulteriore elemento di discussione. In tutte le attività di soccorso (sia professionale che volontario) la prima regola è che il soccorritore non deve mettere a rischio la propria incolumità per prestare soccorso. Solo se esistono condizioni di sicurezza adeguate il soccorso può essere iniziato a continuato. Se quindi assimiliamo la donna gestante a un Vigilie del Fuoco dobbiamo garantirle la possibilità di interrompere la gravidanza in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione (oggettiva o soggettiva) inerente la sua salute. In sintesi rischio sì ma perché e comunque controllato.
    E’ inoltre possibile vedere il problema anche da un altro punto di vista: quello contrattuale. Non credo sia contestabile il fatto che (indipendentemente dai “maquillages” legali) tra la donna e i committenti venga stipulato un contratto che prevede la fornitura di una prestazione a fronte di un compenso. La prestazione comporta pacificamente rischi residui per la salute, ossia rischi che permangono anche dopo aver messo in atto tutte le possibili precauzioni e attenzioni. E’ inevitabile che di tali rischi si tenga conto nella definizione del compenso per la prestazione pattuita. Si verifica quindi una situazione in cui la parte contrattualmente più forte monetizza la salute di quella più debole. Una situazione ben nota nel mondo del lavoro, contro cui (in anni lontani) si è battuto il Sindacato con lo slogan “La salute non si vende, la nocività si elimina”. Battaglia certamente politica ma, credo, con evidenti implicazioni etiche.
    Un’ulteriore osservazione sulla libertà della donna di accettare o meno il contratto ed i rischi impliciti alla prestazione richiesta. Credo che in linea teorica il ragionamento non faccia una grinza. Nel concreto però concordiamo tutti sul fatto che i migranti intenti a raccogliere pomodori nel Salento non stiano facendo esercizio di libertà nell’accettare il lavoro. Anche senza fare omologazioni forzate mi pare impossibile sostenere che il condurre a termine una gravidanza per conto terzi sia in tutti i casi una libera ed “entusiastica” scelta di volontariato sociale. Mi pongo quindi una domanda: l’autodeterminazione della donna rimane un valore assoluto e positivo anche quando la donna è di fronte a scelte intrinsecamente non libere? Un’ ultimo punto: comprendo il desiderio di crescere un neonato. Pongo (non per primo, evidentemente) un quesito: avere un desiderio equivale ad avere un diritto?

  4. Interessante il dibattito che di per se investe molteplici punti di vista:
    • L’importanza del desiderio dei genitori a crescere un neonato rispetto ad un bimbo, ad es di 3-6 anni, probabilmente vissuti come ‘difficili’ e di qui le pratiche per adozione.
    • Le motivazioni dei genitori (peraltro verosimilmente vissute in maniera diversa dal padre o dalla madre, anche in relazione a chi è il portatore di problematiche alla fertilità) a ‘commissionare’ la gravidanza alla futura gestante
    • le motivazioni della gestante: scelta di collaborazione volontaristica per empatia con i ‘mancati’ genitori naturali? Condizionata da necessità finanziarie e come tale omologabile ad una professione, da cui derivano le obiezioni relative alla monetizzazione dei rischi per la salute come esposto da Carlo Mantovani? (per inciso, la monetizzazione della salute e della cura della stessa è praticamente ormai accettata/necessaria/incentivata anche in Italia, nonostante i principi fondanti il SSN)
    Non ho letto, oppure non ho colto, accenni ad eventuali distinguo tra il futuro del/la giovane adottato/a oppure concepito per altri riguardo al suo possibile rapporto con i genitori naturali; al di là di quanto esposto da Massimo e dalle conclusioni dello studio di Wu & Zhang , ritengo che la sua visione del ‘problema’ sarà condizionata da quanto e come appreso nel corso della crescita da parte dei familiari, dal carattere, dall’ambiente in cui vivrà ed eventuali altre variabili.
    E’ possibile che nel futuro la presenza di molte situazioni analoghe, sia in termini di madri naturali più o meno in relazione con i genitori adottivi, sia in termini di genitori legali omo-sex o single, renda meno difficile il superamento di quella sensazione di ‘diversità’ che, almeno nella nostra società attuale, si è dimostrata come possibile ostacolo alle relazioni con gli altri, da alcuni ragazzi superabile a piè pari, per altri a volte occasione di inciampo con conseguenze più o meno problematiche.
    Nel secondo caso, se fossi un genitore, troverei molto più agevole spiegargli/le ( e per il/la giovane elaborare) che nella motivazione della scelta iniziale il mio desiderio di genitorialità si univa all’intento ad offrirgli/le un futuro migliore del dato di fatto di un presente per lo meno ‘difficile’, piuttosto che non dover porre in discussione il mio ‘diritto’ a far concepire (ad ogni costo) una nuova vita.

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